Storie

Nel “bunker” dei Ferruzzi

A cura di Lorenzo Grassi
© lorenzograssi.it

Nel 1989, con il crollo del Muro di Berlino e la fine del bipolarismo, sembrava sciogliersi la “Guerra fredda” che aveva contrapposto Usa e Unione Sovietica. Una “pace”, quella siglata da Gorbaciov e George H. W. Bush, che l’anno dopo avrebbe visto le due superpotenze ex rivali ritrovarsi alleate nella prima guerra del Golfo in Iraq. Ma evidentemente gli imprevedibili effetti geopolitici dell’ondata che alla fine degli anni Ottanta aveva attraversato l’Europa centrale e orientale – rovesciando gli Stati filo-sovietici – e i pericolosi venti bellici che spiravano con forza in Medio Oriente non lasciavano presagire nulla di buono ai vertici dell’alta finanza. Nel dubbio, dunque, meglio prepararsi al peggio.

Una veduta di Palazzo Strocchi a Ravenna.

Sono queste le premesse che portarono alla realizzazione di uno dei più piccoli e segreti luoghi protetti presenti in Italia: quello di Palazzo Strocchi, un edificio di 4.170 metri quadrati nel pieno centro di Ravenna, in via Diaz all’angolo con via degli Ariani. Attualmente ospita la sede del Dipartimento di Storie e Metodi per la conservazione dei Beni Culturali del Polo Romagnolo-Ravenna dell’Università di Bologna. Ma sul finire degli anni Ottanta era stato acquistato dalla Ferruzzi, che aveva dato il via tra il 1989 e il 1990 a grandi lavori di ristrutturazione dell’edificio per farne uno spazio di prestigio a beneficio della Ferfin, la finanziaria del gruppo a quel tempo sinonimo di Montedison, Eridania e Chimica. A Palazzo Strocchi sarebbero stati di casa Raul Gardini (marito di Idina Ferruzzi, poi morto suicida nel 1993 durante l’inchiesta “Mani Pulite”), il suo braccio destro e cognato Carlo Sama (marito di Alessandra Ferruzzi, addetta alle relazioni internazionali), Roberto Magnani e Arturo Ferruzzi.

Raul Gardini e Carlo Sama, il primo morirà suicida durante “Mani Pulite”.

I lavori di adeguamento dell’edificio in via Diaz furono affidati all’architetto Carlo Maria Sadich, con il coinvolgimento della Flammini Engineering. A loro arrivò dai vertici Ferruzzi una richiesta originale e riservata di protezione: quella di realizzare nel palazzo una “capsula di sopravvivenza”, una “panic room”. I bene informati ricordano che, per costruirla, fu fatta arrivare con grande discrezione dalla Germania una ditta specializzata e l’area coinvolta rimase off-limits per un po’ di tempo. La “cellula” assomigliava ad una camera frigorifera, molto asettica e dotata di porta blindata e gruppo elettrogeno autonomo. All’interno anche una scorta alimentare con cibo per 8 persone per 15 giorni.

Una veduta dei locali adibiti a “caveau” dei laboratori.

Insomma, una vera e propria “navicella di salvataggio”, anche se non è dato sapere con quale grado di resistenza. Di questo misterioso mini bunker, però, con il tempo e con ulteriori trasformazioni dell’edificio si sono perse le tracce. Non compare nei rogiti e nelle planimetrie di Palazzo Strocchi entrate in possesso dell’ateneo ravennate dopo il passaggio di proprietà. Ma un’ipotesi di localizzazione ora c’è, vagliata anche dal professore Luigi Canetti, Direttore del Dipartimento Beni Culturali. I locali potrebbero corrispondere, infatti, a quelli attualmente noti come “il caveau”, dove vengono custoditi i materiali di ricerca più delicati e pregiati in affidamento ai laboratori dell’Università. La presenza di una massiccia porta corazzata con serrature multiple – a chiusura ermetica e tenuta stagna – sembra dare un’inquietante conferma alla storia di questo minuscolo e segretissimo riparo d’emergenza.

La porta corazzata nei locali del “caveau” dell’Università.