Storia

Il mistero del bombardiere

A cura di Lorenzo Grassi
© lorenzograssi.it

[ ATTENZIONE: l’ipotesi che viene prospettata in questa ricerca del 2017 – ovvero quella di un possibile legame tra i resti di un B-17 americano presenti sulla Maiella e i duelli aerei con la Regia aeronautica avvenuti durante il bombardamento di Sulmona del 27 agosto 1943 – è risultata in seguito, con l’emergere di nuovi elementi, priva di fondamento. È stato infatti appurato che i rottami della “Fortezza volante” appartengono al B-17G con matricola 44-6399 precipitato con 5 uomini a bordo il 2 novembre 1944 – a causa di condizioni meteo avverse – durante una missione di addestramento (qui la versione aggiornata) ]

Nel cuore di un anfiteatro di vertiginose pietraie, a 2.400 metri di quota tra le vette più severe del Parco Nazionale della Maiella in Abruzzo, riposano i resti di un bombardiere americano della Seconda guerra mondiale. Di quel gigantesco B-17, una delle temibili “Fortezze volanti” degli Alleati, sopravvivono i quattro motori radiali (Wright R-1820 Cyclone a 9 cilindri), due carrelli e piccoli pezzi sparsi nella landa desolata del circo glaciale sotto i Tre Portoni: una zona impervia e off-limits, poiché all’interno di una Riserva naturale integrale. I rottami, conosciuti dagli alpinisti più avventurosi e dagli abitanti dei paesi alle pendici della “Montagna Madre”, sono avvolti da sempre in un velo di mistero. In passato si è ipotizzato che l’aereo potesse essere stato colpito da una postazione della contraerea tedesca, oppure avesse avuto un inconveniente tecnico o fosse incappato nel maltempo, schiantandosi contro i picchi perchè volava ad una quota di poco inferiore a quella giusta. Ma è difficile pensare ad un bombardiere solitario che scompare nel nulla senza lasciare traccia; mentre la più massiccia formazione di B-17 giunta in zona fu quella decollata dalle basi in Nord Africa il 27 agosto 1943 per il primo bombardamento dell’Abruzzo.

   

A questa data si lega una suggestiva ipotesi: quei blocchi di metallo arrugginiti, che hanno resistito per oltre settanta anni al duro clima d’alta quota, potrebbero essere la testimonianza di un epico duello aereo che si svolse sui cieli della Maiella mentre le bombe cadevano sulla città di Sulmona, provocando oltre 150 morti e mille feriti. Un duello che vide protagonista assoluto Luigi Gorrini, allora giovane pilota della Regia Aeronautica, poi insignito in vita della Medaglia d’Oro al Valor Militare e morto nel 2014 a 97 anni nella sua Alseno in provincia di Piacenza. Ho orientato le mie ricerche su un possibile legame tra i rottami del B-17 caduto sulla Maiella e uno dei più celebri Assi dell’Aviazione italiana dopo aver rivisitato e documentato la zona dell’impatto – in collaborazione con il Reparto Carabinieri Biodiversità di Pescara e il Nucleo di Caramanico Terme – e dopo aver trovato dei riscontri nei report della United States Air Force sulla “perdita” di due B-17 nel corso del raid contro Sulmona. Decisiva, però, è stata la rilettura con occhi nuovi del racconto della giornata del 27 agosto 1943 narrato in più occasioni e con alcune varianti dallo stesso Gorrini, testimone più che autorevole dall’alto dei suoi 19 (ma c’è chi dice 24) aerei abbattuti e 9 danneggiati, in cinque occasioni colpito a sua volta e sopravvissuto con rocambolesche avventure.

Nell’estate del 1943 il sergente maggiore Luigi Gorrini è in forze al 3º Stormo Caccia Terrestri con base a Cerveteri e incarico di garantire la difesa aerea di Roma. Compito che si fa improbo il 19 luglio, quando gli Alleati scatenano per la prima volta l’inferno sulla Città Eterna con enormi formazioni di bombardieri. Nonostante la schiacciante inferiorità, una manciata di piloti italiani si alzano coraggiosamente in volo. Con i colleghi della 85ª squadriglia, su un Macchi M.C. 202, Gorrini combatte al largo di Ostia abbattendo un B-17 e c’è chi dice anche un B-24 “Liberator” e un P-38 “Lightning”. Il 13 agosto 1943 Roma subisce il secondo bombardamento e Gorrini, insieme a pochi altri, decolla dalle “strisce” di Palidoro e va incontro alle centinaia di bombardieri della Dodicesima Air Force. Sul litorale romano fa precipitare un B-17, ma poi viene attaccato dai caccia di scorta ed è costretto a lanciarsi con il paracadute nella zona di Sezze.

Proprio in quei giorni vengono consegnati al 3° Stormo i primi tre performanti e armatissimi velivoli Macchi M.C. 205 “Veltro” e il comandante Tito Falconi decide di assegnarli ai piloti che si sono maggiormente distinti nei combattimenti. Uno viene così affidato di diritto a Gorrini. È con questo potente velivolo che decolla da Cerveteri alle 11.05 del 27 agosto 1943. Quando lo prende in consegna il “Veltro” è nuovo di zecca – «non aveva neanche le insegne di riconoscimento all’infuori della fascia bianca in fusoliera» – ma quando lo riporterà a terra dopo una giornata di straordinarie battaglie aeree sarà praticamente da buttare. L’allarme scatta per una formazione di bombardieri Alleati in avvicinamento alle coste laziali. Si teme vogliano colpire nuovamente la Capitale: in realtà hanno come obiettivo la cittadina abruzzese di Sulmona dove in più ondate, dalle 11.36 sino a mezzogiorno, prenderanno di mira la stazione ferroviaria – snodo nevralgico della rete italiana – e uno stabilimento di produzione di munizioni (il “Dinamitificio Nobel” a Pratola Peligna).

Lo svolgimento di quella giornata è descritto in un rapporto dettato a caldo da Gorrini, con alcune imprecisioni, al suo ritorno alla base (rapporto che sarà ripreso dal Messaggero con un articolo pubblicato il 31 agosto 1943, che riporta nel titolo anche la storpiatura del cognome del pilota con una erre sola). In questo documento è importante il riferimento ad un quadrimotore colpito che «cade fra le montagne a Sud di Sulmona». Nel dopoguerra il pilota preciserà e dettaglierà molto meglio gli eventi, parlandone a lungo con Giacomo Manfredi, che scriverà il libro “Vespa 2” con la biografia dell’Asso italiano. Si tratta della versione più accreditata.

Anche il 27 agosto 1943 il primo scontro di Gorrini è sul mare di Roma. Qui affronta le “Fortezze volanti” con la sua caratteristica ed efficace tecnica acrobatica e abbatte un B-17 che precipita con i motori in fiamme vicino al poligono di Nettuno esplodendo con un enorme boato. Inseguito da un bimotore di scorta P-38, Gorrini si infila in una nuvola, sorprende l’aereo avversario e lo fa cadere non lontano dal lago di Nemi. «Ora sono veramente solo nel cielo di Roma – ricorda il pilota – ho però ancora benzina sufficiente e munizioni e allora decido di inseguire la formazione dei B-17 in rotta verso Est». Si avvia così, in splendida e sfrontata solitudine, contro decine di velivoli nemici. «Con il combattimento Vespa 2 si era staccato dalla formazione dei bombardieri. Si trovava solo nel cielo, con due vittorie riportate in pochi minuti – scrive Giacomo Manfredi – chiunque si sarebbe sentito soddisfatto. Chiunque avrebbe provato quel senso di liberazione che subentra alla tensione di un duello all’ultimo sangue. Ma per il nostro pilota questa sensazione fu di breve durata. Un rapido controllo dell’efficienza del proprio apparecchio, e dei colpi che ancora gli rimanevano, l’istinto del cacciatore e il pensiero che ancora avrebbe potuto contrastare l’incursione impedendo a qualche tonnellata di bombe di raggiungere gli obiettivi, lo spingevano a cercare ancora il combattimento».

«Mi riporto in quota e ritrovo i bombardieri fra Sulmona e Avezzano – racconta Gorrini – tento un nuovo attacco scegliendo l’ultimo aereo a sinistra della formazione. Ripeto con maggiore decisione la collaudata manovra d’attacco mirando alla cabina di pilotaggio che va in frantumi sotto le mie serrate scariche di colpi. L’equipaggio abbandona velocemente il velivolo e conto sino a 9 paracadute che si aprono nel cielo. Forse qualcuno è rimasto a bordo, considerando che il B-17 governa ancora bene e pur distaccato non accenna a cadere. Faccio allora un altro passaggio sparando e, poco dopo, altri due uomini saltano con il paracadute. Il velivolo s’inclina leggermente sulla destra e con forte assetto picchiato s’infrange al suolo». «La regina dei bombardieri – scrive Manfredi – oscillò lentamente dondolandosi sulle ali con eleganza per l’ultima volta, e da seimila metri inclinò docilmente il muso verso terra acquistando sempre maggiore velocità mano a mano che scendeva di quota, sino a precipitare dritta scivolando verso la sua fine».

Il racconto collima con le testimonianze a terra. Dalla stazione di Sulmona vedono i bombardieri che arrivano «dalla parte di Raiano» e, finito di scaricare il loro micidiale carico, «procedono verso le Puglie». Il B-17 più a sinistra della formazione, messo nel mirino da Gorrini, si trova dunque spostato verso Nord e viene attaccato dietro il rilievo del Monte Morrone. Questo spiega perchè il duello aereo non sia stato visto dagli abitanti di Sulmona. Con ogni evidenza il B-17 colpito – che «s’inclina leggermente sulla destra» – punta inesorabilmente sui vicini rilievi della Maiella e senza più governo precipita verso i dirupi dell’alta Valle dell’Orfento. I blocchi più pesanti (motori e carrelli) sono ancora lì, mentre tutto il resto (comprese le ali e la fusoliera) manca all’appello: il gigantesco velivolo è stato infatti smontato pezzo a pezzo, con ripetuti e perigliosi viaggi a dorso di mulo, dagli abitanti di Caramanico Terme a caccia di prezioso materiale da riutilizzare nelle ristrettezze post-belliche. Tanto che sino ad una ventina di anni fa, nelle frazioni di Caramanico (San Nicolao e San Vittorino), c’è chi dice che si potevano ancora vedere casupole di campagna realizzate con parti della carlinga. Secondo i racconti locali a Caramanico sarebbero stati portati anche i cadaveri di alcuni membri dell’equipaggio del B-17. Ma Gorrini ne testimonia il lancio al completo con i paracadute e l’episodio che viene ricordato in paese potrebbe essere invece legato al recupero – avvenuto nell’agosto 1944 e di cui è stata trovata documentazione nell’archivio storico del Comune – delle salme di alcune persone fucilate in montagna dai tedeschi durante l’inverno.

Tornando al 27 agosto 1943 e a Gorrini, inseguito da un nugolo di P-38 di scorta ai bombardieri, li semina gettandosi in una vertiginosa picchiata che porta oltre i limiti il suo velivolo, danneggiandolo. Gli inseguitori desistono, ma il suo “Veltro” «è tutto un tremito, gemente fra vibrazioni e scuotimenti preoccupanti, con sinistri scricchiolii delle lamiere». L’eccessivo surriscaldamento della culatta del cannone, per i tanti colpi sparati, provoca uno scoppio che apre uno squarcio nella lamiera del bordo d’uscita dell’ala, poi si scoperchia il tettuccio che ruota urtando l’antenna radio e il timone di profondità. L’aria gelida invade l’abitacolo strappando via tutto. Alla fine Gorrini riesce a riprendere il controllo: «L’aereo porta il muso verso l’alto sino a che riesco ad intravedere la rassicurante linea dell’orizzonte. Il mare, azzurro e incoraggiante, si para dinanzi ai miei occhi. Sono salvo!». Disorientato, chiede lumi via radio e dopo vari tentativi «giunge la conferma che mi trovo a Pescara». Ossia in perfetta traiettoria con la dinamica degli eventi che vede la caduta del B-17 americano sulle vette della Maiella. Un unicum, considerato che in seguito di “Fortezze volanti” a Sulmona non se ne vedranno più, perché entreranno in azione prima i B-24 “Liberator” (con il raid del 98° Bombardment Group il 3 settembre 1943) e poi, durante l’inverno, gli aerei inglesi della RAF (come il Martin 187 Baltimore fotografato durante il bombardamento del “Dinamitificio Nobel” di Pratola Peligna con lo sfondo dei monti Pizzalto e Porrara).

Anche il ritorno a casa di Gorrini è avventuroso, considerato che lo scalo di Cerveteri è stato distrutto dai bombardieri e in vista delle “strisce” di Palidoro, luogo di atterraggio alternativo prescelto, resta senza carburante ed è costretto a planare come un aliante. Una volta a terra – racconta il pilota – «alzo la mano col segno di tre e dico: “Ho abbattuto due quadrimotori e un caccia”, mentre manate affettuose si abbattono sulle mie spalle assieme alle congratulazioni degli amici; poi gli sguardi di tutti si volgono verso l’aereo malridotto, con le ali a brandelli, l’antenna divelta e il timone deformato. Al mattino era nuovissimo, ora è irriconoscibile». La giornata del 27 agosto 1943 costituirà la consacrazione della notorietà di Gorrini, grazie ad una citazione sul Bollettino di guerra n. 1192 del 30 agosto. Le sue gesta saranno celebrate anche dall’illustratore Achille Beltrame su una copertina della “Domenica del Corriere” (che sembra riferita al B-17 colpito su Nettuno o al P-38 precipitato a Nemi). Gli abbattimenti di quella giornata, inoltre, sono alla base della Medaglia d’Oro conferita a Gorrini nel dopoguerra, che fa riferimento nelle motivazioni ai combattimenti sostenuti nel periodo sino al 31 agosto 1943.

Un’altra versione dell’episodio di Sulmona è contenuta in un’intervista rilasciata da Gorrini negli ultimi anni di vita ad Andrea Benzi, nella quale il pilota precisa: «Feci quattro attacchi e dopo un po’ vidi ben 9 paracadute che scendevano, ma l’aereo seguitava nella sua corsa. Lo riaffrontai e, forse fu una delle poche volte che lo feci, sparai in cabina: non c’era più nessuno e avevano installato il pilota automatico. L’aereo cominciò a perdere quota e lo inseguii per vedere dove cadeva. Ma mi arrivarono addosso 12 Lighting, 6 da una parte e 6 dall’altra». Il B-17 viene probabilmente indirizzato volutamente verso la montagna per evitare che possa finire in mani nemiche. È interessante il seguito, quando Gorrini torna alla base: «Atterrai e mi venne incontro il maggiore furente. L’aereo non era più riparabile. “Comandante, ho abbattuto due quadrimotori e un caccia!”. “Non contare balle”, fu la sua risposta. “Non sono balle: non sono caduti in mare e in più sono caduti al di qua delle nostre linee”. Avevamo un Fieseler Storch, un aereo tedesco da ricognizione: “Andiamo a controllare”, gli dissi. Così partimmo…». I due prima trovano conferma degli abbattimenti di Nettuno e Nemi – che vengono riferiti come avvenuti in scontri «con un aereo senza distintivi» – poi «c’era da andare a Sulmona, e il maggiore titubava: bisognava attraversare gli Appennini ed entrammo dentro un temporale che ci fece ballare per quaranta minuti».

«Voleva tornare indietro – spiega ancora Gorrini – ma indietro faceva più buio che avanti: acqua che veniva dentro, ma arriviamo a Sulmona e ci rechiamo al Comando tedesco dove stavano alcuni prigionieri, di cui uno enorme. Era il comandante della “Fortezza volante”, un australiano. Anche lui disse quello che avevano detto gli altri: erano stati colpiti da un caccia veloce, senza distintivi, isolato. Mi piacerebbe conoscere il pilota aggiunse, e il maggiore mi indicò: mi tese la mano e mi piantò una stretta di mano che stavo per dargli un calcio. Poi mi volle fare un regalo e, aprendo un calzare, tirò fuori una 7,65 che mi consegnò». Una pistola che Gorrini ha conservato per decenni con cura. Andrea Benzi, sentito in proposito, conferma che nell’intervista Gorrini ha fatto esplicito riferimento ad “un australiano” (cosa che non aveva fatto in precedenza). I membri dell’equipaggio del B-17, recuperati dopo il lancio con i paracadute, potrebbero essere stati internati per qualche giorno nel Campo di prigionia n. 78 di Fonte d’Amore a Sulmona (dove dopo l’armistizio dell’8 settembre si verificò una fuga di massa). Questa detenzione e l’eventuale particolare nazionalità del comandante del B-17 – a Fonte d’Amore, secondo recenti studi, risultano essere stati presenti molti militari australiani – sono una delle piste sulle quali si stanno approfondendo le ricerche.

La documentazione ufficiale americana sull’episodio è infatti abbastanza lacunosa. Nella cronologia dei combattimenti dell’US Air Force sul Mediterraneo Occidentale del 27 agosto 1943 viene riportata l’azione della NASAF (Northwest African Strategic Air Force) che con l’impiego di B-17 e P-38 di scorta ha proceduto al bombardamento dello snodo ferroviario di Sulmona. C’è uno stringato report sulla missione n. 61 del 2nd Bombardment Group, nel quale il nome della città viene storpiato in “Salmona”, che riferisce di diversi B-17 «leggermente danneggiati» e di un bombardiere “Missing in action”: si tratta di “Cactus clipper” (42-30456) del 96° Squadrone «colpito dalla Flak sopra Anzio». Dei dieci membri dell’equipaggio sette sono deceduti, fra questi il Capitano William P. Koch, e tre sono stati fatti prigionieri. Con ogni evidenza si tratta del B-17 abbattuto da Gorrini su Nettuno, ma i comandi Usa – per errore o per deliberata scelta strategica di depistaggio – preferiscono attribuire la responsabilità alla contraerea tedesca.

Scavando più a fondo tra le decine di migliaia di microfilm desecretati che mi sono stati inviati gentilmente dagli archivi militari americani, ho trovato traccia anche di un secondo B-17 “disperso” il 27 agosto 1943. In particolare, nei report del 97° Bombardment Group sono emersi riscontri sulla scomparsa di un velivolo del 414° Squadrone durante la missione numero 157 con obiettivo Sulmona. In un rapporto si legge che «pur non essendo stati incontrati aerei nemici, uno dei bombardieri – il n. 346 pilotato dal sottotenente Macey – è disperso ed è stato visto l’ultima volta mentre tornava indietro poco prima di raggiungere l’obiettivo». Ma quel bombardiere a casa non è mai tornato, mentre l’improvvisa virata potrebbe essere conseguenza dell’attacco subito da Gorrini. Esiste anche uno sbiadito Flash Report, dove si riportano le contrastanti testimonianze degli altri equipaggi: secondo alcuni il B-17 che manca all’appello è esploso, mentre secondo altri ha fatto dietro-front. Il rapporto si conclude con la pressante richiesta dei comandi, probabilmente rimasta inevasa, di procedere ad ulteriori accertamenti per capire “dove sia finito” il gigantesco aereo. Al momento non è stato reperito alcun Missing Air Crew Report riferito all’episodio, mentre si è rivelata fuorviante la pista di un bombardiere del 97° Bombardment Group (414° Squadrone), con sigla 42-30442, che risultava “blew up while loading for Sulmona” con 6 deceduti e 6 feriti. Si tratta infatti di un tragico incidente avvenuto il 26 agosto 1943 nelle basi in Nord Africa, provocato dall’esplosione di munizionamento durante la fase preparatoria della missione.

Ci vorrà quindi ancora del tempo per fare piena luce sulla storia di quei rottami che, nell’attesa, riposano sulle pietraie della Maiella sfiorati dalle erte piste dei camosci. Per avvalorare l’avvincente ipotesi di un legame con l’abbattimento raccontato da Gorrini, insieme ad ulteriori ricerche di documenti d’archivio e di testimonianze, potrebbe rivelarsi decisiva un’azione mirata sul campo – da organizzare in accordo con il Reparto Carabinieri Biodiversità e il Parco Nazionale della Maiella – per cercare tra i resti qualche oggetto con riferimenti univoci di identificazione del velivolo. Concludo auspicando l’avvio di una riflessione su una futura possibile operazione di recupero e valorizzazione delle vestigia del B-17, in memoria del tragico bombardamento di Sulmona. Nel frattempo la montagna continua a riservare sempre nuove sorprese, considerato che tra le vette e le creste della Maiella sono stati individuati e sono in corso di studio altri quattro crash sites del periodo bellico che vedono coinvolti anche velivoli inglesi e tedeschi.

Qui potete leggere l’articolo uscito sul Messaggero il 19 agosto 2017:
E la Majella svelò la Fortezza volante

Ringraziamenti

Per questo studio – i cui primi risultati sono stati presentati con una proiezione il 23 agosto 2017 a Sulmona – ringrazio per la preziosa collaborazione: l’associazione “Archeologi dell’Aria”, il gruppo escursionistico “Lupi del Gran Sasso” (in particolare Maria Luisa Tricca e Claudia Di Nardo di Abruzzo Parks), Fabio Maiorano, Ugo Del Castello, Roberto Tonelli, Paolo Carretta, Gabriella Di Mattia, Giovanni Artese, Lando Sciuba, Roberto Carrozzo, Enrico Siena, Lucio Le Donne, il sindaco di Caramanico Terme Simone Angelucci, il Reparto Carabinieri per la Biodiversità (in particolare Luciano Schiazza comandante del Posto fisso di Caramanico Terme).