Storia

Il Roccolo del Re cacciatore

A cura di Lorenzo Grassi
© lorenzograssi.it

“Al Roccolo si arrivava attraversando un fitto bosco che a noi bambini metteva un po’ di paura: sulla sommità c’era un padiglione a torretta, in cima al quale si saliva con una scaletta a chiocciola esterna. Da lassù si godeva una bellissima vista della piana del Tevere”. Così Enrico d’Assia, nel libro “Il lampadario di cristallo”, ha descritto le sue emozioni infantili nel raggiungere uno dei colli più remoti e misteriosi di Villa Ada, sulla cresta del versante che affaccia verso via Anna Magnani e la Moschea. Una foresta che ha celato uno degli ultimi segreti del parco.

Vittorio Emanuele II in tenuta da caccia e il timbro dell’Ufficio del Gran Cacciatore del Re.

Per svelarlo occorre richiamare la leggendaria passione venatoria del primo sovrano d’Italia, Vittorio Emanuele II, che si era guadagnato l’appellativo di “Re cacciatore”. Nel 1872, dopo la presa di Roma e il trasferimento dell’intera corte Savoia nella nuova Capitale, aveva acquistato diverse proprietà sulla via Salaria per formare una tenuta di 200 ettari, ricca di animali selvatici, dove poter continuare a praticare il suo passatempo preferito. Tra i lavori della nascente Villa Savoia il sovrano ordinò la realizzazione di alcuni laghetti per favorire la presenza di selvaggina. L’attaccamento di Vittorio Emanuele II alla caccia era così forte che – come narra Enrico D’Assia – un freddo giorno d’inverno rimase così a lungo appostato nel parco per stanare una lontra che finì per ammalarsi di polmonite e morirne poco dopo il 9 gennaio del 1878.

Due vedute dello stato attuale di degrado della torretta del Roccolo.

Appena tre anni prima il Re aveva allargato la tenuta acquistando le proprietà Massimo e Iannoni al Colle del Roccolo, nella parte nord-occidentale della villa. Lì era sorta – ad opera dell’Ufficio del Gran Cacciatore di Sua Maestà – un’originale struttura venatoria della quale ora è sopravvissuto solo lo spettrale rudere di una torretta in muratura a pianta esagonale. Un edificio perso alla memoria, vandalizzato e a rischio di crollo. Per ricostruirne storia e funzione si è attivato un piccolo team di ricercatori – composto dall’ingegnere Romano Moscatelli di Sotterranei di Roma, dal naturalista Flavio Tarquini dell’Orto Botanico di Roma e dal giornalista e appassionato di memoria storica Lorenzo Grassi – che ha lavorato sul campo in cerca di tracce, realizzando un inedito modello tridimensionale (elaborato dall’architetto Laura Moscatelli) per evidenziare i dettagli costruttivi. A poco a poco si è svelato così il segreto del Roccolo del Re.

Quella del Roccolo era una pratica di caccia con postazione e reti che veniva usata per catturare uccelli migratori vivi (risalente al Trecento nella regione padano-alpina, molto diffusa nel Settecento in Lombardia, Veneto e Toscana, infine vietata per legge dal 1967). Ottimo esempio di “architettura vegetale”, il sistema era formato da costruzioni artificiali ed elementi naturali: veniva attrezzato sulla sommità di un poggio con pendii orientati a Nord-Est come nel caso di Villa Ada (per la cattura degli uccelli che in autunno migrano verso meridione) o a Sud-Ovest (per gli uccelli che in primavera migrano verso settentrione). Una bella lettura è il trattato “La discrizione dell’uccellare col Roccolo” scritto da Giovanni Battista Angelini nel 1724.

Una raffigurazione schematica della logistica del Roccolo.

Facevano parte del Roccolo il “casello”, una torretta in posizione elevata e ben mimetizzata; il “tondo” o “tesa“, un prato rivolto verso valle con al centro alberi da frutto e da bacca per attirare gli uccelli (dalle piante, potate in forme rotondeggianti e tenute basse, venivano fatti spuntare dei rami spogli chiamati “secchi”); infine il “colonnato”, un doppio filare di alberi (abeti, faggi, ornelli, carpini o frassini) che cingeva l’area ad ellissi o a ferro di cavallo. Gli alberi venivano potati in modo da formare un “pergolato” dove venivano installate e occultate le reti di cattura (sottili a tramaglio, dette “ragne”) a formare una cintura alta sino a quattro metri da terra.

Studio della migrazione degli uccelli nella stazione ornitologica di Salò (1930).

La fauna migratoria veniva attirata anche con esche vive: gli uccelli “spia”, tenuti in piccole gabbie nella valle disboscata o su alti pali, che cominciavano a cantare appena avvistavano esemplari della stessa specie; gli uccelli “canterini”, nascosti vicino ai rami “secchi”, che a loro volta richiamavano lo stormo e venivano supportati a terra dagli “zimbelli”, volatili tenuti attaccati ad un filo per trattenerli nel “tondo” permettendogli solo dei piccoli voli. Quando lo stormo si posava sui rami “secchi” del Roccolo, dalle feritoie della torretta dominante veniva azionato lo “spauricchio”, una lunga pertica con uno straccio nero che simulava un predatore in volo o, in altri casi, una “racchetta” di vimini intrecciata che veniva lanciata in aria. Allo stesso tempo veniva emesso un fischio che imitava un rapace. I volatili, terrorizzati, si alzavano precipitosamente in volo finendo nelle reti

La copertura in legno vista dall’interno e il colore rosso della finestra a Nord-Est.

Venivano portati in tavola, venduti o utilizzati per fornire ai cacciatori – in questo caso al Re – richiami vivi per praticare altre modalità di uccellagione. In ambito nobiliare i Roccoli divennero una sorta di intrattenimento ludico per gli ospiti. Gli stessi Savoia, per i loro soggiorni a Napoli, realizzarono un Roccolo con torretta in mattoni a pianta quadrata anche nel Real Bosco di Capodimonte. Quello di Villa Ada, ad un’analisi ravvicinata, ha mostrato delle raffinatezze: dalle resistenti lastre in ardesia delle scale esterne alle ingegnose staffe d’angolo, dai colori (con il rosso che incornicia la finestra orientata a Nord-Est) al balcone panoramico, sino al camino nel piano interrato, all’elegante tetto spiovente in legno e al parafulmini.

La conformazione del Roccolo in una foto aerea del 1943 (nel giallo la torretta).

Nelle foto aeree di Villa Ada degli anni Quaranta è ancora visibile la conformazione del sistema del Roccolo, con il prato del “tondo” contornato dal “colonnato” di alberi. Un’evidenza che nel tempo si è persa, sommersa dall’avanzare della foresta. Proprio lì dove avrebbero dovuto essere, però, ci sono ancora dei grandi alberi di frassino, possibile “memoria vegetale” di quel lontano passato.

I grandi alberi di frassino ancora presenti nella zona del Colle del Roccolo.

Ad aggiungere mistero al mistero ci sono le curiose tracce moderne sulle facciate della torretta. In particolare, sul lato Nord, spiccano gli inquietanti buchi lasciati da sei colpi di arma da fuoco (forse una pistola calibro 9). Vi sono poi molte scritte spray che richiamano slogan dei movimenti di protesta degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.

I buchi dei segni di proiettile sulla facciata della torretta.

Si va dalle più violente (“Plastico al potere” e “Armi agli operai”) a quelle più comuni (“È giusto ribellarsi”, “È vietato vietare” e “Potere ai piccoli”), riferite alla droga (“Rolla rolla non smetter per lo spinello libero a prezzo popolare” e “Mariuana libera”) e con riferimento ad un utilizzo dell’edificio (“W la vita in comune questa casa è tutto quello che piace…”). Sono presenti anche una colorata bandiera dei Viet Cong (con silhouette di un combattente armato) e la scritta “Any Given Sunday” (“Ogni maledetta domenica”, film del 1999 diretto da Oliver Stone e con Al Pacino).

La colorata bandiera dei Viet Cong su una delle facciate della torretta del Roccolo.

I Roccoli hanno una grande valenza storica e paesaggistica: gli impianti venivano progettati secondo regole precise, erano complessi da realizzare e difficili da mantenere (il “roccolatore” doveva essere sia giardiniere che ornitologo). Di recente in diverse Regioni italiane sono state avviate operazioni di recupero – un ottimo esempio è quello del Roccolo Mosaner al Sauch in Trentino – naturalmente sarebbe auspicabile che ciò avvenisse anche per la messa in sicurezza della torretta di Villa Ada, che il Piano di utilizzo approvato dal Campidoglio nel 1994 destinava ad ospitare attrezzature informativo-didattiche per il parco. Di recente il Dipartimento Tutela Ambientale del Campidoglio ha affidato ad una stagista la realizzazione di uno studio storico e di un progetto di restauro della torretta. Speriamo sia il primo passo per la rinascita del Roccolo del “Re cacciatore”.