Storia

La battaglia di Ponte Tazio

A cura di Lorenzo Grassi
© lorenzograssi.it

Nelle prime ore del 5 giugno 1944, mentre le truppe tedesche completavano la ritirata a Nord di Roma incalzate dagli Alleati, il fiume Aniene divenne un confine idrografico guerreggiato tra i due schieramenti. Ne è prova la vicenda di “Ughetto” Forno, studente 12enne sacrificatosi per impedire ai guastatori nazisti di distruggere il ponte ferroviario prima della Salaria. Ma anche più a monte, sulla via Nomentana, avvenne un episodio simile: Ponte Tazio fu infatti lo scenario di un violento combattimento nel quale trovarono la morte uno o due soldati americani (a seconda delle diverse versioni). Solo la prontezza di un coraggioso ingegnere – si narra – salvò quel fondamentale attraversamento dalla distruzione totale.

La prima versione è quella che si può desumere dalla cronaca dell’episodio riportata sul quotidiano “Il Messaggero” qualche giorno dopo, ovvero l’8 giugno 1944:

Il coraggioso gesto di un patriota risparmia dalla rovina il ponte Tazio

Segnaliamo il coraggioso gesto di un ingegnere italiano, patriota appartenente al Partito d’Azione. Verso le ore cinque del mattino di lunedì 5 giugno, quattro camionette tedesche, provenienti probabilmente da Monterotondo, attraversavano a grande velocità la piazza Città Giardino e si fermavano all’imbocco del ponte Tazio sull’Aniene. Dopo pochi minuti due camionette americane arrivavano dalla via Nomentana. Fermatesi al di là del ponte aprirono combattimento con i tedeschi, gettando bombe a mano e mitragliando. I tedeschi rispondevano con fuoco violento poi si allontanavano mentre gli americani cercavano d’apprestare i primi aiuti ai loro feriti, due dei quali morivano subito.

Improvvisamente una delle camionette tedesche tornava indietro e alcuni guastatori precipitosamente disponevano sul ponte una catena di cassette di esplosivo per farlo saltare. Il patriota allora, staccatosi dalla finestra dalla quale era in osservazione, faceva scendere nel ricovero le persone del palazzo. Intanto avveniva la prima esplosione. Slanciatosi quindi fuori di casa si precipitava sul ponte già in parte rovinato e riusciva a svitare i coperchi delle pignatte di gelatina prima che avvenisse il secondo scoppio.

Gli americani allora scendevano dalle camionette; attraversavano il ponte ed aiutavano il patriota a gettare l’esplosivo nel fiume. Il ponte era salvo! Il patriota ha avuto calorosi ringraziamenti dai soldati alleati che hanno dato in dono, in ricordo dell’episodio, il fucile mitragliatore di uno dei loro morti.

Sull’episodio vi è poi la testimonianza di Stefano Quaranta, che ha riportato quanto gli era stato raccontato da alcuni parenti nel dopoguerra:

Quando ero bambino, negli anni Sessanta, mia zia che abitava a Montesacro mi fece vedere una croce di metallo che oramai era quasi del tutto inglobata nella corteccia di un albero, posto ai lati della Nomentana. Quella croce non sono più riuscito a trovarla. Credo fosse fra la discesa dopo la Batteria Nomentana e Ponte Tazio: era sul lato dell’albero rivolto verso il ponte, grande circa 12 cm e posizionata a circa 1,30 da terra. Zia diceva che era stata apposta sul luogo dove una jeep americana era saltata in aria. Mi raccontava che lo stesso Ponte Tazio era parzialmente crollato, rimanendo efficiente e percorribile su una sola corsia”.

I tentativi di rintracciare la croce incastonata nell’albero sino ad oggi sono risultati vani. Ma guardando con attenzione le spallette di Ponte Tazio (costruito nel 1922 su progetto dell’ingegnere Gustavo Giovannoni) si notano dei fori che potrebbero essere i segni lasciati dalle schegge metalliche provenienti dalle esplosioni.

Le spallette con i fasci littori e le possibili tracce delle schegge.

Vi sono, però, altre versioni riguardo l’episodio del salvataggio di Ponte Tazio. Una molto dettagliata è quella riportata da Antonio d’Ettorre sul sito “Grande come una città” in uno scritto dal titolo “I Caimani del bell’orizzonte”. D’Ettorre ripercorre la vicenda dell’Associazione Rivoluzionaria Studenti Italiani e in particolare di un nucleo di giovanissimi, fra i 14 e i 18 anni, “che costituirono un gruppo nel gruppo”. Erano i “Caimani del bell’orizzonte”: Alvaro Vannucci, Giuseppe Gnasso, Corrado Fulli, Mario Belotti, Mario Condigliani e De Anna. Per lo più studenti del Liceo Orazio e frequentatori di una spiaggetta sull’Aniene chiamata “bell’orizzonte”. “Erano legati da una salda e lunga amicizia – scrive d’Ettorre – che li aveva portati a maturare insieme la scelta dell’impegno e che diventò il cemento che li sostenne anche nella lotta clandestina contro i nazifascisti”.

Antica veduta di Ponte Tazio.

Questo il racconto che conduce alla battaglia di Ponte Tazio:

“Dopo gli arresti di febbraio, che decimarono il gruppo di studenti antifascisti di Montesacro-Valmelaina, gran parte dei superstiti si unirono alle bande partigiane delle proprie organizzazioni di riferimento che combattevano sull’Appennino. I caimani rimasero sul Monte Scalambra fino ai primi di giugno. Poi scesero verso Roma per partecipare alla Liberazione della città, ma quando erano a cinque chilometri di distanza, furono fermati e disarmati dagli Alleati. Forse c’era un accordo tacito, garantito dal Vaticano, per far defluire le truppe tedesche fuori dalla città senza ulteriori spargimenti di sangue, o si voleva evitare che la città si liberasse con una insurrezione popolare, come era già avvenuto a Napoli. Attraversarono la campagna e raggiunsero la Casilina e poi infine la Nomentana. Si fermarono alla vaccheria Giuliani, una grande azienda agricola di Talenti, fino al 4 giugno, quando gli americani cominciarono a muoversi. Una volta a Montesacro furono divisi: alcuni, in cui c’era anche Giuseppe Gnasso, furono mandati al Palazzo della Stampa, a piazza Colonna, ad aspettare l’arrivo del governo, il gruppo costituiva la guardia personale di Bonomi; gli altri, Corrado Fulli, Alvaro Vannucci e un’altra decina, furono messi a guardia della Nomentana e di Ponte Tazio. Appena entrati in piazza Sempione avvistarono un carro armato in prossimità del ponte; erano controsole e lo scambiarono per un carro armato degli Alleati.

La chiesa in primo piano e Ponte Tazio sullo sfondo.

Gli andarono incontro salutando ma quelli aprirono il fuoco, erano tedeschi, e altri ne stavano arrivando da via Maiella. Messisi al riparo, risposero al fuoco con le poche armi che avevano, mentre i tedeschi sparavano con un mitragliatore da carro. Tempo pochi minuti, la scalinata della chiesa era ridotta a un colabrodo. I tedeschi si erano concentrati sullo slargo antistante il ponte e, con una camionetta, tenevano sotto tiro le strade d’accesso. I caimani decisero di dividersi per aggredire i tedeschi da più lati: Fulli raggiunse i giardini pubblici in fondo a via Maiella. Aveva già trovato riparo, quando vide cadere in mezzo alla strada un agente della PAI colpito dalla mitragliatrice. Uscì allo scoperto e sotto una grandine di colpi riuscì a metterlo in salvo. I tedeschi intanto avevano minato il ponte e si accingevano a farlo saltare. In quel momento arrivò attraversando il Ponte Vecchio il gruppo di Giuseppe Gnasso, che era stato avvertito da Stocchi, il fornaio che si era sempre prodigato per aiutare tutti. I tedeschi, visto il movimento e temendo il peggio, fecero brillare la prima carica di mine e una campata del ponte saltò, ma non fecero in tempo a finire il lavoro e furono costretti alla ritirata. Nello scontro di Montesacro, morirono anche due soldati americani, perché la jeep su cui viaggiavano saltò in aria in prossimità del ponte”.

Il Ponte Tazio in costruzione.

Vi è poi la testimonianza di Mara Felicori contenuta nel libro “Possa il mio sangue servire” di Aldo Cazzullo (Rizzoli, 2015), che chiama in causa per il salvataggio del ponte persino un possibile intervento diretto dell’ingegnere Gustavo Giovannoni:

“C’era già stato l’8 settembre e i tedeschi impazzavano per Roma. Avevo poco più di 13 anni, abitavo a Montesacro, quartiere allora di periferia. I tedeschi non si fidavano dei romani e per girare senza chiedere informazioni, che ritenevano inattendibili, avevano sistemato ovunque grossi cartelli indicanti le più varie direzioni. Proprio in piazza Menenio Agrippa, dove la Nomentana fa un gomito, ce n’erano parecchi. Io, con mia sorella e una altrettanto giovane amica, ci “divertivamo”, con l’aria più tranquilla e indifferente possibile, a spostare i cartelli, cambiando quindi le indicazioni. La cosa creava imbarazzo soprattutto alle motociclette e noi ci sentivamo importanti. Non credo in questo caso si possa parlare di Resistenza, ma a me, che ormai sono molto anziana, fa piacere ricordare l’episodio. E c’è un’altra cosa di quel periodo che mi torna alla memoria. Stavano arrivando gli americani e i tedeschi avevano minato il Ponte Tazio che, sull’Aniene, porta in città. Si disse che l’ingegnere che aveva costruito il ponte anni prima e che viveva a Montesacro fosse andato incontro agli americani per avvertirli, visto che lui poteva sapere dove erano state posizionate le mine. Il ponte venne rapidamente sminato, ma una carica purtroppo esplose, uccidendo un ragazzo, molto giovane, americano. E allora avvenne una cosa bellissima, il giovane fu deposto sopra una jeep, accanto al buco creato dall’esplosione e tutta la popolazione di Montesacro, spontaneamente, lo ricoprì di fiori. Ancora al ricordo mi emoziono”.

L’ingegnere Gustavo Giovannoni.

Infine c’è il racconto che Maurizio Tiriticco ha pubblicato online dopo averlo copiato dal suo “Balilla moschettiere”:

“All’alba del 5 giugno 1944 uno scoppio tremendo, poi qualche colpo di fucile, una sparatoria, lontana, veniva da Monte Sacro, poi il silenzio. Che era successo? Alle prime luci del mattino cominciammo pian piano a mettere il naso fuori della finestra e a uscire di casa, prima due a due, poi sempre di più, alle 8 eravamo tutti fuori casa! La via Nomentana si animava, si animava sempre di più, e tutti verso Monte Sacro, verso il ponte sull’Aniene, non quello vecchio, quello romano su cui passa la via Nomentana, quello nuovo, il Ponte Tazio, degli anni Venti, che collega alla Città Giardino, un quartiere tutto nuovo, tutte villette e, ovviamente giardini. Il Ponte Tazio si presentava con uno squarcio terribile. Era impraticabile alle auto, non ai pedoni. I tedeschi in fuga avevano tentato di farlo saltare. C’era stato un conflitto a fuoco. Ricordo una jeep – non sapevamo ancora che certi mezzi degli americani si chiamavano così – a fianco sulla strada con il muso sul marciapiede; un gran telone la ricopriva e da un lato fuoriusciva lo stivaletto di un militare. Una piccola folla intorno. Un militare americano ucciso nel conflitto a fuoco dell’alba. Poi giunse un altro mezzo americano e portò via la jeep e il soldato morto”.

Una veduta attuale di Ponte Tazio.

Come abbiamo visto, sul salvataggio di Ponte Tazio vi sono ancora diverse circostanze che sarebbe interessante poter conoscere a fondo, magari grazie alla memoria di qualche anziano residente della zona: cosa avvenne al drappello americano in avvicinamento? Quanti soldati Usa rimasero uccisi e quali sono i loro nomi? Chi era l’ingegnere che intervenne per evitare la distruzione e aiutare nello sminamento? Era davvero lo stesso creatore del ponte, Gustavo Giovannoni?