Storia

L’Autodromo del Littorio

A cura di Lorenzo Grassi
© lorenzograssi.it

Il 24 maggio1931, “in uno sfolgorio di sole, una rossa Alfa-Romeo si lanciava a grande velocità sulla nuova pista dell’Autodromo del Littorio, dopo aver infranto il simbolico nastro che ne precludeva l’accesso”. Così le cronache dell’epoca descrivevano l’inaugurazione, 90 anni fa, di uno degli impianti automobilistici e motociclistici più innovativi ed effimeri d’Italia (restò in attività solo sino al 1934). Pochi anni prima, il 21 aprile 1928, era stato inaugurato l’Aeroporto del Littorio che il 7 febbraio 1929 aveva ospitato i partecipanti al primo Convegno Nazionale Automobilistico del Raci, il Reale Automobile Club d’Italia (federazione di 50 Automobile Club che vantava 8.864 soci su 104.000 vetture circolanti). Forse fu proprio in quella occasione che al conte Giovanni Bonmartini e al principe Massimiliano Lancellotti, già promotori dello scalo “anfibio” per idrovolanti sulle sponde del Tevere e della Compagnia Nazionale Aeronautica, venne in mente di potenziare il polo dell’aria e sportivo sulla Salaria, alle porte di Roma, con un’opera nel solco del mito della velocità.

Il rendering del tracciato sulla situazione attuale dell’Aeroporto dell’Urbe.

La costruzione della pista nell’Aeroporto del Littorio iniziò alla fine del 1930 e fu diretta dall’ingegnere Piero Puricelli – già artefice dell’Autodromo di Monza – con la sua “Società Puricelli – Maestra delle strade” che realizzò l’opera “in poco più di quattro mesi di intenso lavoro e con maestranze reclutate a Ferrara dal Commissariato per l’emigrazione interna. La Compagnia Nazionale Aeronautica fornì alloggio gratuito a queste maestranze all’interno dello scalo allo scopo di far loro realizzare notevoli economie ed evitare per quanto possibile disagi al personale” (come ha ricordato Alfredo Stinellis nel libro “Storia di un Aeroporto, da Roma Littorio a Roma Urbe”). “Un vero miracolo questo Autodromo, sorto in un tempo assai breve, di pochi mesi (stavamo per dire settimane), costruito con indubbia genialità, che viene a dare alla Capitale quanto ancora le mancava”, si leggeva sulla pubblicazione dell’Associazione degli industriali del cemento.

La pista, perimetrale al campo di volo e da percorrere in senso orario, fu realizzata con un lastrone di calcestruzzo gettato sopra un sottostrato di cretoni e di tufo. In particolare la soletta era in calcestruzzo cementizio dello spessore di 15 cm, dosata per ogni metro cubo con 0,800 mc di ghiaia e pietrisco, 0,400 mc di sabbia e soli 350 kg di cemento di prima scelta. Armata con rete di ferro del peso di 2,5 kg al mq, la soletta con sottostrato di cretoni e tufo – accuratamente cilindrato – dello spessore di 12 cm era munita di giunti trasversali di dilatazione saldati con mastice di bitume e sabbia a distanza di 20 cm di distanza tra di loro. Vi era anche, data la larghezza, un giunto longitudinale per ridurre a 6 metri la larghezza di ogni lastrone.

Il percorso totale della pista era di 4.440 metri – di cui 2.045 in rettilineo – era larga 12 metri e confluiva in una spianata di 110 metri dove c’erano i box del rifornimento. Nonostante il tracciato fosse relativamente corto, comprendeva cinque curve e tre rettilinei. Il primo, di quasi un km (932 metri), subito dopo la partenza, correva parallelamente alla Salaria per consentire passaggi ad altissima velocità davanti all’hangar della “Casa delle Ali” dove – dirimpetto ai box e alle tabelle di segnalazione – c’erano le tribune. Il rettilineo immetteva nella prima curva di 330 metri di raggio a destra verso il Tevere. Questa, in piano rispetto ai rettilinei (che avevano una pendenza di 11 cm per lato per lo scolo delle acque), aveva una pendenza unica di 22 cm verso il centro. All’uscita dalla curva c’era subito il secondo rettilineo parallelo al fiume (lungo 627 metri) e al termine la grande “Curva sopraelevata” di 150 metri di raggio, che permetteva di raggiungere i 250 km orari. La sopraelevazione era di 7 metri con pendenza sino a 48 gradi.

La parabolica era sorretta da grandi costoloni in cemento armato, appoggiati su solide fondazioni. “Il percorrerla a forte andatura – si leggeva sul Notiziario Aitec – dà una piacevolissima sensazione di sicurezza, per quanto macchina e passeggeri si trovino effettivamente molto inclinati, e infatti, per i 200 km/h, l’inclinazione è di circa 45 gradi!”. All’uscita dalla sopraelevata c’era il terzo rettilineo (lungo 485 metri) in direzione Ovest-Est e quindi una curva a sinistra di 500 metri di raggio che, dopo un altro breve rettilineo parallelo e contrario a quello di partenza, obbligava ad un brusco dietrofront. Questo tratto, denominato “Curva della ripresa”, metteva a dura prova gli organi meccanici delle vetture, costrette ad una violenta decelerazione per poterla passare indenni senza uscire di strada. Volendo evitare questo tratto era possibile, poco prima, deviare su una variante che permetteva di immettersi nuovamente sul rettilineo di partenza.

L’Istituto Luce dedicò al cantiere due reportage fotografici e un documentario. Il primo reportage porta la data del 30 marzo 1931 e il secondo quella del 4 maggio dello stesso anno, con i lavori in via di ultimazione. In mezzo, ad aprile 1931, fu diffuso il Video Giornale dal titolo: “Lavori per la costruzione della grande pista automobilistica presso l’Aeroporto del Littorio”.

La pista aveva requisiti tecnici originali, innovativi e migliorativi tali da conferire all’Autodromo del Littorio un vantaggio e un primato sui più quotati impianti esistenti all’epoca (Nurburgring, Monthlery, Brooklands, San Sebastiano, Monza e Indianapolis). Oltre alla novità della “Curva della ripresa” e della “Parabolica”, c’era per il pubblico la possibilità – unica al mondo – di seguire le gare in ogni fase, poiché le tribune erano posizionate in modo da dominare l’intero percorso. Sul piano della sicurezza, il livellamento del circuito a “raso suolo” rispetto al campo di volo riduceva drasticamente i rischi nel caso, abbastanza frequente, di uscite di pista.

Un test anche per i materiali da costruzione. “In complesso un lavoro genialmente concepito e rapidissimamente eseguito; una pista che permette altissime velocità, che offre un severo collaudo delle macchine, non solo come resistenza dei motori, ma pure di tutti gli altri organi, freni specialmente, e che pone inoltre in evidenza le doti di ripresa. Nel segnalare l’opera meritoria degli ideatori e dei realizzatori – sottolineava il Notiziario Aitec – ci sia consentita di rilevare la parte di merito del nostro prodotto, il cemento, cui, anche in campo stradale, l’avvenire dovrà dare il posto dovuto”. E l’occasione fu colta anche per migliorare lo scalo: “I rettilinei della pista furono utilizzati anche per la partenza dei velivoli nei periodi in cui il terreno adiacente era in cattivo stato a causa delle piogge o per maggiore sicurezza se a pieno carico. Con la costruzione della pista furono portati a termine altri lavori di ampliamento del campo di volo – ha ricordato Alfredo Stinellis nel libro “Storia di un Aeroporto, da Roma Littorio a Roma Urbe” – come il piazzale antistante la “Casa delle Ali”, che divenne così in grado di accogliere grandi apparecchi di linea e si completò il muro di cinta dell’Aeroporto lungo la via Salaria”.

Il 10 marzo 1931, con apposita convenzione, l’Automobile Club di Roma prese in gestione la pista dalla Compagnia Nazionale Aeronautica e subito vennero messe in calendario l’inaugurazione e le prime gare ufficiali.

Domenica 24 maggio 1931 – Cerimonia di inaugurazione

La cerimonia di inaugurazione del circuito, il 24 maggio 1931, fu documentata dall’Istituto Luce con un filmato e un reportage fotografico dal titolo “S.E. Mussolini inaugura la pista dell’Autodromo del Littorio”. Altre immagini furono pubblicate sul Notiziario Raci.

Trionfalistici i toni utilizzati alla vigilia dal quotidiano Il Messaggero: “Roma ha finalmente il suo Autodromo, realizzazione invano per anni attesa: opera della quale da tempo si sentiva la necessità, ma che soltanto nel 1931 si è avuta, per opera della Compagnia nazionale aeronautica che ha dotato l’Urbe di una magnifica pista permanente per le competizioni automobilistiche, pista che ha notevolmente perfezionato l’Aeroporto di Roma. (…) Non soltanto nella sua esecuzione ma nella sua concezione essa è un’opera originalissima; laddove le altre piste del genere constano per lo più di due rettilinei e di due curve e appaiono come dei grandi canestri di cemento, la pista del Littorio ha una sola curva sopraelevata. All’altro estremo del suo nastro è invece una giravolta ad U senza sopraelevazione, formata dal confluire di due rettilinei. Questa giravolta che è stata ideata e battezzata come la Curva della ripresa, forma la maggiore caratteristica della pista, poiché in questo tratto fa si ch’essa richieda alle macchine ed ai guidatori doti del tutto diverse da quelle che il resto del tracciato metterà in evidenza. È come aver inserito la più significativa delle difficoltà stradali in un circuito prettamente velocistico. (…) La mattinata sarà esclusivamente riservata alla inaugurazione, nel pomeriggio, poi, l’Autodromo comincerà a funzionare. Dalle ore 13 in poi, tutti gli automobilisti che vorranno provare la pista o collaudare le vetture non avranno da far altro che acquistare il biglietto, entrare in pista e… premere l’acceleratore. Soltanto per misura prudenziale, non sarà consentita la permanenza in pista di più di 25 vetture”.

Non da meno le cronache della giornata sul Notiziario Aitec: “Il 24 maggio, in uno sfolgorio di sole, una rossa Alfa-Romeo da corsa si lanciava a grande velocità sulla nuova pista dell’autodromo del Littorio, dopo aver infranto il simbolico nastro che ne precludeva l’accesso. Al volante, eccezionale e magnifico pilota, il Duce, che, con a fianco il conte Bonmartini, dopo aver compiuto un primo giro ne volle fare un secondo, in cui, in vertiginosa volata, lasciò a distanza le altre macchine, che fin allora avevano potuto a stento seguire da presso”.

E la vera e propria celebrazione decantata sulla rivista Il Littoriale, in un articolo dal titolo: “Il primo sportivo d’Italia – Il Duce, al volante d’una veloce Alfa inaugura la bella pista del Littorio”: “Ancora una volta la volontà, e la genialità dei capi, l’abilità dei dirigenti tecnici, l’imponenza dei mezzi impiegati e l’operosità mirabile delle maestranze – pervase di uno spirito di intima disciplina – hanno vinto ogni difficoltà materiale, hanno battuto l’inesorabile nemico: il tempo. (…) Chi ha visto, di giorno in giorno, progredire l’opera poderosa non può esimersi dall’ammirare il prodigio di tecnica e di lavoro che l’ha creata. Su di un terreno allo stato, diremo così, naturale spuntò prima il tracciato. Poi, macchine ed uomini vi incisero un solco largo e profondo: il letto della massicciata. Altre macchine vi recarono il materiale di consolidamento e ve lo compressero perfettamente. Infine il manto di cemento coprì l’anello delle velocità. Questo per i tratti piani. Per le curve sopraelevate sorsero enormi sostegni di cemento armato, come costole di un animale gigantesco, che neppure le epoche preistoriche videro mai l’eguale. Ed anche questa parte delicata e difficile fu ultimata: il 24 maggio batteva alle porte, ma la lotta era vinta”.

“Nel più radioso sole di maggio, così come sedici anni or sono arrise alla gioventù d’Italia che balzava verso l’olocausto glorioso della trincea – proseguiva Il Littoriale – tra il garrire delle bandiere tricolori questo nuovo campo di cimenti sportivi, di affinamento delle volontà e di addestramento tecnico, ha avuto il battesimo più significativo e più solenne: il Duce ha voluto inaugurare la pista tracciandovi, prima di ogni altro, alcuni velocissimi giri. Il Capo del Governo è giunto all’Aeroporto del Littorio poco dopo le 10, salutato da entusiastici alalà dalla grande folla che assisteva alla cerimonia dai viali dell’Aeroporto e dagli invitati che dall’alto della Casa delle Ali tutta pavesata di bandiere, dominavano l’ampia pista. Erano a riceve S.E. Mussolini, i dirigenti della Compagnia nazionale aeronautica, conte Giovanni Bonmartini e principe Massimo Lancellotti, il prefetto Montuori, il sen. Guglielmi vice-presidente del Raci, il sen. Gallenga e molte altre personalità sportive. Al seguito del Duce erano S.E. Giunta, sottosegretario alla Presidenza; l’on. Lando Ferretti, capo dell’Ufficio Stampa; l’on. Starace vice-segretario del Partito; ed il governatore principe Boncompagni”.

“Il Duce, seguito dalle autorità, si è subito recato ad inaugurare il quadro grafico delle linee aeronautiche che da tutta Europa convengono a Roma – raccontava ancora la rivista – ha quindi assistito all’alza bandiera al suono della Marcia Reale. Si è poi recato sulla pista dove fra i ferrei piloni della passerella trasportabile – un’altra geniale innovazione della pista del Littorio – era teso il nastro tricolore che ha tagliato tra rinnovati applausi della folla. Il Capo del Governo ha poi passato in rivista i fascisti romagnoli che hanno compiuto in motocicletta la Predappio-Roma. È salito, poi, su di un’Alfa da corsa insieme al conte Bonmartini ed impugnato il volante ha iniziato a fortissima velocità il giro della pista compiendolo in poco più di due minuti. Il fulmineo passaggio della macchina del Duce dinanzi alla Casa delle Ali è stato salutato da un applauso entusiastico che si è ripetuto ancora più vibrante quando S.E. Mussolini, compiuto ancora più velocemente un secondo giro di pista, si è fermato dinanzi ai boxes ed è disceso dalla macchina”.

E l’articolo concludeva: “Terminata la cerimonia il Duce ha espresso il suo alto compiacimento al conte Bonmartini, e quindi, ossequiato dalle autorità, ha lasciato l’Aeroporto assieme con l’on. Giunta tra nuove entusiastiche acclamazioni della folla. La pista del Littorio ha iniziato subito la sua attività. Gli intervenuti alla cerimonia della inaugurazione a bordo delle loro macchine hanno compiuto dei giri di prova sicchè in breve l’anello di cemento armato si è affollato di automobili di tutti i tipi mentre la musica dell’Aeronautica suonava delle gaie marce militari. Circa 200 macchine hanno provato la pista facendo godere ai loro guidatori le emozioni della velocità”.

[ Da segnalare per la cronaca che nel pomeriggio di quel 24 maggio 1931, allo stadio del Pnf, il quarto derby ufficiale del Campionato di calcio tra Roma e Lazio, chiuso sul 2-2, degenerava in una gigantesca rissa sul campo con diversi feriti e sedata solo da una carica dei carabinieri a cavallo ]

Domenica 31 maggio 1931 – VI Reale Premio di Roma motociclistico

La prima competizione ospitata sul circuito, il 31 maggio 1931, fu il VI Reale Premio di Roma di motociclismo, manifestazione iscritta nel calendario internazionale. Fra grandi attese: “Il Gran Premio Reale motociclistico che si correrà domenica sulla pista del Littorio si avvia quest’anno verso un clamoroso successo – scriveva il Littoriale alla vigilia dell’evento – come numero e qualità di partecipanti non farà certamente difetto: sul nuovo caratteristico Autodromo degno dell’Urbe i più bei nomi e le macchine più perfette combatteranno domenica una delle più belle battaglie motociclistiche internazionali. Tutti i più popolari campioni italiani saranno impegnati nella lotta e ad essi saranno avversari i più validi difensori del motociclismo europeo. La lotta sarà veloce, appassionante, fieramente combattuta e resa più ambita la vittoria perchè baciata dal sole di Roma eterna. La speranza di una affermazione italiana è nel cuore di tutti. Ai valorosi centauri è riservato l’ambito onore d’ingaggiare la prima battaglia sul nuovo Autodromo”.

L’avvicinamento alla gara fu seguito passo passo dai giornali (in particolare il Littoriale): “Mentre stanno sorgendo ampie tribune lungo il rettilineo prospiciente la Casa delle Ali, sulle quali saranno distese non meno ampie tende a riparare gli spettatori dai raggi del sole ormai divenuti cocenti, cominciano, sul nastro di cemento della Pista del Littorio, a frullare i motori nei primi galoppi di assaggio”. I primi test evidenziano gli ostacoli: “La Curva sopraelevata, che contrariamente a quanto poteva credersi è quella che suscita le maggiori attenzioni dei motociclisti in quanto occorre filare ben forte per viaggiare in alto ed essere completamente padroni dell’equilibrio nell’uscirne in piena velocità. Alla Curva della ripresa, invece, c’è poco da fare: occorre nei duecento metri che la precedono far agire vigorosamente i freni e compiere pacatamente il dietro-front per poi rilanciare prontamente la macchina sul rettilineo di arrivo. (…) Occorrerà non poca abilità nei guidatori e un complesso di doti eccellenti nelle macchine per poter affrontare i cinquanta giri che moltiplicano per cinquanta le difficoltà”.

Gli occhi dei tifosi sono tutti puntati su Taruffi: “Le maggiori chances per i colori romani sono affidate a Piero Taruffi, degno continuatore delle tradizioni gloriose del motociclismo della Capitale, vincitore di un Gran Premio di Monza, recordman della Merluzza. (…) Per lungo tempo fedele ad una nota marca inglese, Taruffi probabilmente questa volta ci farà la sorpresa di presentarsi in gara agguerritissimo e con una nuova macchina”. E ancora alla vigilia: “Piero Taruffi non ha ancora reso noto con quale macchina correrà. Noi ci auguriamo che il popolare campione possa conquistare la vittoria con una macchina italiana rendendo così in tutto perfetta e completa la soddisfazione nel caso di un suo desideratissimo successo”. Ma Taruffi, alla fine, scenderà in pista con la Norton, monopolizzando le prove: “Diciamo subito che l’impressione più viva è stata quella lanciata dal beniamino delle folle sportive romane, Piero Taruffi (…) sulla sua vecchia Norton ha avvicinato i 140 km di media. Questa velocità per una pista difficile come quella del Littorio significa marciare assai, assai forte!”. La prima impressione dei concorrenti sul nuovo circuito “è che la pista è terribilmente logorante: la Curva della ripresa impone ad ogni giro al guidatore ed alla macchina un lavoro durissimo. Per gli altri 3.500 metri i motori possono essere spinti a fondo con il pericolo di chiedere loro uno sforzo eccessivo, con conseguenze non piacevoli”.

Secondo il programma “la prima partenza per le due categorie minori (175 cmc e 250 cmc) sarà data alle ore 15 e la seconda (per le categorie 350 cmc e 500 cmc) alle ore 17 da S.E. l’on. Italo Balbo. I prezzi d’ingresso all’Aeroporto del Littorio per la manifestazione sono così stabiliti: L. 5 per i popolari; L. 10 i distinti (Tribune); L. 25 Tribune d’arrivo. In detti prezzi è compreso il biglietto di andata e ritorno con l’autobus”. Italo Balbo non risulta però tra i presenti nel parterre della domenica: “Hanno presenziato S.E. Giunta, S.E. Riccardi, l’on. Ferretti, il generale Teruzzi, il generale Coggià e gli sportivissimi Bruno e Vittorio Mussolini”. Si verificarono, invece, dei problemi nell’afflusso: “L’attesa del pubblico non è andata, quindi, delusa, e sarebbe stata piena la sua soddisfazione, se non si fosse dovuta rilevare qualche imperfezione, specialmente per quello che riguardava l’accesso dalla città alla via Salaria e quindi all’Autodromo. Evidentemente gli ordini non furono ben compresi e le misure che tendevano a stabilire ordine e regolarità finirono per distogliere molti dal recarsi all’Aeroporto”.

Finalmente la gara. Come riporta la cronaca del Littoriale: dopo una combattuta sfida nelle categorie minori, “avversata da un forte vento” (con vincitori Tomaso Omobono Tenni su Velocette nelle 350, Alfredo Panella su Guzzi nelle 250 e Tonino Benelli su Benelli nelle 175), la gara più importante – quella della classe 500 cmc – fu vinta da Terzo Bandini su Rudge “dopo un serrato duello iniziale con Taruffi e superando sul giro i 146 chilometri all’ora di media”.

“L’andatura inizialmente travolgente imposta al numeroso plotone da Taruffi e da Landi, è costata ad entrambi la vittoria, ma ha altresì causato una selezione rapida e larghissima nei ranghi – riportava la cronaca del Littoriale – come lo scorso anno, Bandini ha conquistato la vittoria assoluta nel modo più convincente e ad una velocità che lascia lontana quella di Hicks a Monza, aggiudicandosi anche il giro più veloce a 146,938 di media, che è una delle più alte finora raggiunte in Italia. Le cifre sono eloquenti, tanto più che dopo venti giri l’avversario più temibile, Taruffi, scompariva dalla lotta”. L’Autodromo del Littorio si confermava dunque come una pista velocissima e impegnativa ma, oltre ai problemi di afflusso, ne evidenziava un altro: “È stato un vero peccato che il pubblico numeroso ed eletto richiamato dal Reale Premio di Roma non abbia potuto appieno seguire le fasi palpitanti della gara delle categorie maggiori – si leggeva sul Littoriale – perchè non sempre all’altezza della situazione furono i servizi di cronometraggio e di segnalazione. Non per difetto di uomini, ma per forza di cose, e cioè rapidità e simultaneità di passaggi che i cronometristi (Teoli, Damiani, Parasecoli e Viganigo) registrarono regolarmente ma non furono in grado di comunicare immediatamente al pubblico e alla stampa”.

Al VI Reale Premio di Roma di motociclismo l’Istituto Luce dedicò un ampio reportage fotografico.

Qualche giorno dopo la gara Raniero Nicolai scriverà sul Littoriale un elzeviro dal titolo “Sentimento della velocità” per descrivere le sensazioni provate all’Autodromo del Littorio, chiamando in causa anche l’atmosfera creata dagli aeroplani parcheggiati poco distanti, ai quali “codesto infuriare gradasso di motori e di titani deve sembrare un girotondo di bimbi”.

7 giugno 1931 – VII Reale Premio Roma automobilistico

Domenica 7 giugno 1931 arrivò il battesimo delle auto, con la VII edizione del Reale Premio Roma di automobilismo (quarta prova del Campionato nazionale di velocità). Il trasferimento della gara sulla pista dell’Autodromo del Littorio fu salutato come “un grande progresso, perché si disponeva finalmente di un circuito che, se non era paragonabile a Monza o a Brooklands, era comunque di gran lunga superiore ad un percorso cittadino, con tutti gli inconvenienti tante volte sperimentati”. L’edizione capitolina del 1931, pur facendo parte del calendario internazionale, non fu inserita fra le tre prove valide per il primo Campionato Europeo di automobilismo.

Il tragico incidente di Giovanni Tabacchi

Giovanni Tabacchi, detto “Gianella”.

L’evento romano si aprì con una tragedia: la morte del meccanico del pilota Achille Varzi avvenuta nel venerdì antecedente la gara. Giovanni Tabacchi, detto “Gianella”, fu tradito dalla Curva sopraelevata. Questo il racconto dell’incidente riportato dal Littoriale: “Una dolorosa disgrazia ha gettato un velo di lutto e di tristezza sulla giornata di ieri dell’Autodromo del Littorio (…) la disgrazia è avvenuta verso le undici e mezzo, dopo che Varzi aveva compiuto con la sua Bugatti 2000 alcuni velocissimi giri di prova. Fermatosi ai box per provare la sua 2300 Bugatti, Varzi cedeva il volante della 2000 a Tabacchi, il fido Gianella, il meccanico che avrebbe dovuto partecipare alla finale nel caso che Varzi nella batteria 2000 fosse riuscito a classificarsi entro i primi quattro posti. Tabacchi prestata l’ultima assistenza alla 2300 di Varzi, subito dopo la partenza del campione italiano, montava a sua volta sulla Bugatti 2000 e s’involava velocissimo sulla pista verso la grande curva rialzata. Pochi secondi e la tragedia era già avvenuta”.

“Spettatori oculari hanno fornito la seguente versione. La macchina è entrata ad alta velocità nella parte bassa della pista, ha, in seguito, cominciato a salire, poi ha urtato con le ruote di sinistra nel muretto di ritenuta, ha percorso una trentina di metri in questo modo, poi, d’un balzo, è uscita all’esterno. Il salto deve essere stato terribile. Dal muretto di ritenuta al piano sottostante le armature che sorreggono il grande arco della curva, sono non meno di sei metri. La macchina è caduta almeno sei metri oltre su una catasta di legname proprio davanti a una squadra di operai intenti all’opera di rifinitura. Poi ha proseguito, roteando, verso il greto del Tevere. Urtando col davanti in una buca del terreno la macchina ha avuto un ultimo balzo. Il pilota, poveretto, deve essere morto sul colpo. I primi arrivati sul posto hanno trovato infatti il povero Tabacchi già spirato sotto la vettura ridotta in condizioni terribili che testimoniano tragicamente il tremendo salto”.

Quanto alla dinamica, aggiungeva l’articolo del Littoriale, “un esame delle condizioni in cui si è svolto l’incidente non porta a conclusioni definitive. Forse il povero Gianella è entrato troppo forte, forse ha slittato sulla sabbietta, che era ancora sul cemento, forse è stato un suo errore nel richiamare la macchina che può avere avuto un sobbalzo verso l’esterno portata dalla forza centrifuga. Fatto sta che l’uscita dalla pista ha determinata la sciagura tragica. Se Tabacchi avesse potuto rimanere all’interno le conseguenze sarebbero forse state assai meno gravi”.

Sul quotidiano Stampa Sera si precisava però che Tabacchi non era morto sul colpo, ma “era rimasto ferito gravemente ed era stato trasportato al Policlinico, ove i sanitari gli riscontravano gravi ferite in più parti del corpo e lesioni interne, per cui lo dichiaravano in pericolo di vita. Infatti alle 12.30 il povero corridore cessava di vivere senza aver potuto riprendere i sensi”. Il Littoriale ricordava la sua lunga esperienza: “Bisogna fare il saluto dell’armi al guidatore caduto, Giovanni Tabacchi più noto nell’ambiente dei corridori sotto il nomignolo di Gianella era il meccanico che aveva sempre accompagnato Varzi nella sua gloriosa carriera. Era sulla Alfa-Romeo che ha vinto la Targa Florio 1930 e il Reale Premio Roma del 1929 alle Tre Fontane. Tabacchi era un meccanico esperto ed in lui Varzi aveva un collaboratore fidato e prezioso. Si ricordano molti episodi che testimoniano anche del coraggio e dell’audacia del povero Gianella. Aveva corso qualche volta e aveva date ottime prove come alle Mille Miglia del 1930 e al Premio Monza dell’altro anno nel quale prese parte con la stessa vettura con la quale ieri tragicamente doveva perdere la vita, segnando il tempo migliore. Era insomma anche un abile conduttore”. “Durante gli allenamenti per il Reale Premio Roma – scriveva il settimanale Raci – vittima di un tragico incidente è caduto il concorrente Tabacchi, notissimo per la sua valentia come meccanico, e per la sua affezione a Varzi. E nel suo nome, con l’ardimento che celebra il sacrificio, Achille Varzi ha corso e vinto”.

I funerali di Gianella si svolsero il 9 giugno 1931 a Milano, con la partecipazione – come riportato in un articolo del quotidiano La Stampa – di “numerosi amici sportivi, operai addetti ai diversi stabilimenti, costruttori di automobili, associazioni fasciste. Moltissime le corone inviate anche da Roma dal Regio Automobil Club d’Italia, da quello di Milano, dai commissari del Raci, dalle maestranze dell’Alfa Romeo e della Bugatti, ecc. (…) nel corteo si trovavano la vecchia madre e la giovane fidanzata dello scomparso, pietosamente attorniate dagli intimi”.

L’avvicinamento alla gara – seguito dal Littoriale – mise in luce le caratteristiche tecniche e sportive dell’evento. “Non si esagera affatto quando si pensa e si scrive che il VII Reale Premio di Roma, con batterie e finale, può esercitare sulla folla degli sportivi una attrattiva forse maggiore di quella esercitata dal pur riuscitissimo Gran Premio d’Italia a Monza sulla distanza di 10 ore (…) la gran massa degli spettatori gradisce altro genere di corse. Corse di velocità non troppo lunghe, continuo variare di attori e di macchine, lo spettacolo, insomma, più che la corsa di lunga lena”.

“Il VII Reale Premio di Roma, nella formula adottata dagli organizzatori e per la novità assoluta del campo di gara che assicura, fra l’altro, una continuità di spettacolo e una serie di emozioni fino a oggi sconosciute in Italia, per la gran massa degli spettatori innegabilmente, deve costituire la manifestazione ideale (…) la formula adottata dagli organizzatori e delle più razionali. Attraverso le selezioni effettuate nelle diverse batterie ogni vettura avrà tempo di giocare per intere le proprie possibilità; e la finale che riunirà le macchine più veloci delle diverse classi ammesse alla gara su una distanza sufficientemente severa fornirà la graduatoria assoluta. Il pubblico non avrà un sol momento di noia e giungerà alle emozioni della finale attraverso un vero crescendo di interesse. (…) si inaugurerà anche un tipo di corsa di velocità del quale in Italia non si ha, forse, la minima idea. Cioè la corsa su pista con le macchine rincorrentisi in un immenso anello che l’occhio completamente abbraccia; con la diretta visione della vertiginosa velocità, con la grande curva parabolica sulla quale le macchine saetteranno fulminee, con la pausa quasi assoluta dello strettissimo virage all’inizio del grande rettilineo delle tribune che le vetture percorreranno partendo, si può dire, da fermo in un crescendo spettacoloso sotto lo sforzo terribile dei possenti motori in ripresa (…) stando ai tempi registrati per le motociclette, le macchine potranno toccare velocità superiori ai 165 km orari, sarà davvero una rincorsa di autentici bolidi”.

Sino alle prove ufficiali. “Le Maserati di Fagioli, Dreyfus ed Ernesto Maserati sono state le più assidue nei galoppi di preparazione, ma pur toccando medie elevatissime superiori ai 150 km all’ora sul giro, non ci hanno dato l’impressione esatta di quanto potranno fare domenica. Tuttavia qualche passaggio del bolide che a Cremona conquistò il record mondiale alla media di 247 km all’ora offre la certezza che sul rettilineo vedremo domenica sorpassati i 200 all’ora, come qualcuno ha già fatto in allenamento. La presenza di Nuvolari su di una monoposto Bugatti in piena e diretta rivalità con Varzi sulla 2300, ci assicura poi che la battaglia sarà ingaggiata a fondo dai due grandi campioni l’uno ben degno dell’altro”.

Il Littoriale riferisce anche di un intermezzo aeronautico: “A mezzogiorno l’attività rallentava e verso la mezza cessava del tutto. Nel cielo tersissimo un piccolo rosso Breda tracciava audaci spirali seguendo una immaginaria pista; il pilota ing. Colombo, evidentemente teneva a rinnovare nel cielo le audacie dei bolidi terrestri (…) Fra un giro e l’altro, l’ing. Colombo iniziava alle emozioni del volo parecchi dei corridori presenti. Il primo a salire è stato Nuvolari, il quale in procinto com’è di prendere il brevetto si metteva addirittura ai comandi, fornendo un ottimo decollaggio; poi l’ing. Colombo a sua volta provava l’emozione di montare su una macchina da corsa ed era Dreyfus a portare l’ing. Colombo in tre velocissimi giri”. Da segnalare le dichiarazioni di Ernesto Maserati, fratello del costruttore bolognese e “sempre sobrio di parole”, sulle prime sensazioni ricevute dalla nuova pista: “Sembra di essere sempre in curva. I rettilinei si avvertono appena. Certo è che hai appena finito di girare che sei di nuovo in curva. La curva rialzata toglie l’impressione della velocità alla quale si può marciare su di essa, tanto la macchina sembra aggrappata al cemento; la velocità si avverte all’uscita della curva quando ti trovi a duecento all’ora e c’è davanti la prima deviazione e subito dopo la fermata per girare in fondo alla Curva della ripresa. È una gran bella pista. E, poi, si fa tanto presto a compiere un giro! Non vorrei essere nei panni dei cronometristi”.

Si avvicina la gara e sul Littoriale compaiono altri giudizi tecnici sul tracciato: “L’Autodromo di Roma non è la solita pista a catino dove il marciare veloci è tutta questione di potenza di motore per le macchine e di abitudine e di audacia per il guidatore; ma qualcosa di più e di meglio: cioè un Autodromo che alle qualità fondamentali di una pista unisce i pregi e le caratteristiche di un circuito stradale. (…) Il tutto, naturalmente, in piena vista giacchè da ogni punto l’occhio può abbracciare e seguire tutte le fasi in tutti i punti della meravigliosa pista. (…) Dunque un non piccolo passo in avanti nella propaganda in grande stile dello sport automobilistico fra le masse”.

Un solo rammarico: “È stato indubbiamente un vero peccato che l’Alfa Romeo, impegnatissima per la preparazione delle macchine e dei piloti che dovranno partecipare a due grandi manifestazioni all’estero, non abbia potuto scendere a Roma (…) ma la corsa vale moltissimo lo stesso. Non fosse altro perchè rimette di fronte Varzi a Nuvolari e questi ad avversari molto forti; non fosse altro perchè propone un confronto tecnico, in un terreno favorevole ad entrambe, fra la nuova Bugatti 2300 e le Maserati 2500 e la 16 cilindri (…) C’è un interrogativo perciò: Bugatti o Maserati? Il VII Reale Premio di Roma, che è impostato su questo interrogativo, si presenta come la corsa più aperta e più incerta. Contribuiranno a renderla appassionante i piloti e soprattutto Varzi, Fagioli, E. Maserati, Dreyfus, Nuvolari, Minozzi che sono autentici specialisti”.

La gara prevedeva batterie separate per quattro gruppi di cilindrata crescente, da disputare su 25 giri ciascuna, seguite da una finale su 60 giri (240 km) alla quale avrebbero preso parte solo i primi due della classe fino a 1100 cmc e i primi quattro delle altre. Questo l’ordine di partenza: alle 12 il primo gruppo da 750 a 1100 cmc; alle 13.15 il secondo gruppo da 1.100 a 2.000; alle 14.30 il terzo gruppo da 2.000 a 3.000; alle 15.45 il quarto gruppo da 3.000 e oltre. Alle 17 la finale. In tribuna d’onore erano presenti, tra gli altri, Balbo, Acerbo, Gazzera, Farinacci, il “dott. Arnaldo Mussolini con i figli del Duce”, l’ex Re dell’Afghanistan Aman Hulla e il Principe d’Assia. Sarà proprio quest’ultimo a dare la partenza della finale.

“Ernesto Maserati coglie la prima grande vittoria e la geniale 16 cil. Maserati macchina da records dimostra eccezionali doti anche in un circuito”, è il titolo del Littoriale con il resoconto della gara e il risultato della finale. Il settimanale Raci parlerà di “superbo trionfo italiano”. L’Istituto Luce segue la competizione con un completo reportage fotografico e un documentario disponibile sia in una versione corta da 6 minuti (mostrata qui sotto) che in una versione da 11 minuti.

Il dettaglio dei partecipanti e dei risultati è sul sito The Golden Era of Grand Prix Racing. In sintesi si classificarono ai primi tre posti della finale tre Maserati (di tre potenze diverse: la 16 cilindri, la 8 cilindri da 2.500 cmc e la 1.700 cmc) rispettivamente con Ernesto Maserati (su 240 km alla media di 152,321 km/h), Luigi Dreyfus e Clemente Biondetti. “Nonostante anche in questo caso fosse stato dato alla competizione il nome di Criterium degli assi – sottolinearono le cronache dell’epoca – furono proprio i migliori piloti ad essere messi fuori gioco per primi nelle batterie, in particolare i due beniamini delle folle Varzi e Nuvolari”. Nuvolari “è stato tradito dalla macchina nelle batterie e nella finale, ma ha lottato con un impeto e una volontà meravigliosi”. “Nelle 2000 cmc ardentissima si è subito rivelata la lotta tra la Bugatti di Nuvolari e la Talbot di Ruggeri – riportava il settimanale Raci – i due fortissimi piloti, con acceso spirito sportivo, dimentichi di ogni altra cosa, si sono buttati nella lotta accesa e generosa, impegnandosi a fondo, superandosi vicendevolmente, più volte ogni giro, in un impeto gagliardo di velocità, fin tanto che Nuvolari ha avuto troncato il suo ardore da un guasto alla accensione che gli ha richiesto molto tempo per la riparazione, troppo perchè il mantovano potesse entrare in finale”.

A Varzi invece – “provato da una panne di gomme, con il pneumatico posteriore destro afflosciato in piena velocità” e due km percorsi lenti fino al box con la ruota a terra – forzando nel tentativo di rimonta rimase “la soddisfazione del giro più veloce, il 28°, in 1’28.4, alla media di 162,9 km/h”. A monopolizzare l’attenzione fu la Maserati 16 cilindri Tipo V4 da 4.000 cmc, vettura con la quale il 28 settembre 1929 Baconin Borzacchini sulle strade della campagna cremonese aveva stabilito il record di velocità sui 10 km alla media di 246,069 km/h. La V4, però, aveva dimostrato le sue capacità anche in pista già all’esordio, avvenuto a Monza 15 giorni prima della prova romana, dove Alfieri Maserati aveva ottenuto il giro più veloce alla media di 198,7 km/h.

Questa la cronaca della gara all’Autodromo del Littorio: “Piena vittoria della Maserati, che ha realizzato il non piccolo exploit di vincere due batterie e la finale, nella quale i primi tre posti sono stati occupati da macchine del modesto e tenacissimo costruttore bolognese. In linea tecnica e in linea sportiva la piena vittoria della Maserati non può dar luogo alla minima contestazione. Ernesto Maserati con la 16 cilindri ha vinto regolarissimamente piegando, prima, la Bugatti di Varzi, poi, regolando a piacere la sua corsa su quella dei colleghi che montavano vetture della sua stessa marca. La finale, che era la gara più attesa ed anche la più dura e severa, ha veduto balzare al comando Varzi con la Bugatti. Maserati Ernesto, partito leggermente arretrato, prendeva la seconda posizione. (…) man mano il distacco tra i due è sceso. Le macchine si sarebbero, forse, scambiato il posto. Ma ecco l’insidia di una gomma a Varzi ed ecco la Maserati 16 cilindri filare sicura in testa. Da questo undicesimo giro alla fine, la lotta per la vittoria non ha avuto, come si suol dire, più storia. Varzi, infatti, al box cambiava la gomma e riprendeva a girare. Ma la 16 cilindri era ormai troppo lontana. (…) al 33° giro, infine, la Bugatti del campione italiano accusava lo sforzo e si fermava definitivamente al box. La vittoria della Maserati prendeva la proporzione di un vero trionfo: prima la sedici cilindri, seconda la otto cilindri di Dreyfus, terza la 1700 otto cilindri di Biondetti”. Il VII Reale Premio di Roma, dunque, “riporta ad una stessa altezza Maserati e Bugatti e riapre una battaglia che conoscerà altri emozionanti episodi”.

Il giorno dopo sul Littoriale fu sottolineato il significato tecnico della vittoria delle macchine del costruttore bolognese: “È molto interessante che abbia vinto la sedici cilindri Maserati, la sola vettura di questo tipo che funzioni con assoluta regolarità e con soddisfacentissimi risultati. Concepita come una vettura da record, dopo aver assolto, come si potrebbe dire, il proprio… dovere a Cremona nel riuscito record sui dieci chilometri a lancio, oggi è anche una vettura da impiegare in circuito e in gare di lunga distanza. Le difficoltà tecniche per ottenere il risultato sono state molte. Si pensi all’accoppiamento dei due motori e si pensi ai problemi relativi alla maneggevolità della macchina in curva e in frenata, ai problemi degli organi di trasmissione. Ieri non solo la sedici cilindri era la vettura più veloce in senso assoluto, ma, malgrado il maggiore ingombro e il maggior peso (oltre mille kg) non era la meno maneggevole, la meno stabile, la meno frenata, la meno resistente e sicura. Con l’intervallo di appena un quarto d’ora, durante il quale alla macchina non vennero che riempiti i serbatoi e cambiate le gomme posteriori, E. Maserati ha coperto con la sedici cilindri 240 km a velocità oscillanti fra i 153 e i 160 km orari su una pista che ne consentiva, come massimo, poco più di 162”.

Un venditore sugli spalti.

Anche in occasione del VII Reale Premio automobilistico, come già era avvenuto per il VI Reale Premio motociclistico, si verificarono però dei disguidi tecnici: “Parve un dettaglio il fatto che sul quadro dei tempo spesso apparissero indicazioni fantasiose; che il servizio altoparlanti funzionasse a singhiozzo, e spesso in maniera imprecisa; e che i programmi e comunicati diramati alla stampa riportassero dati sbagliati. Si sorvolò anche su un grande cartellone pubblicitario piazzato di fronte alla tribuna della stampa, in modo tale che veniva ostruita la vista della grande curva rialzata, il punto più spettacolare della gara. Era stata una bellissima giornata per lo sport italiano”.

Il settimanale Raci tirerà così le somme: “Nel Reale Premio di Roma la vittoria non doveva essere conquistata da stranieri (…) La pista ha messo per la prima volta i piloti italiani a contatto con le curve sopraelevate che, tanto diffuse nelle piste americane, non avevano, prima che venisse realizzato il Littorio, alcuna applicazione in Europa. Ora che l’Autodromo del Littorio ha così brillantemente esordito nel campo delle manifestazioni automobilistiche, si potrà iniziare, per la grande realizzazione sportiva di Roma, un fervido periodo di attività automobilistica ed aeronautica, dando incremento allo sport, facilitando il progresso della meccanica automobilistica, creando sempre nuovi ed entusiastici proseliti alle attività del motore, sulla terra e nell’aria”.

Lunedì 8 giugno 1931 – Corsa automobilistica tra giornalisti

L’8 giugno 1931, all’indomani del Gran Premio, l’Autodromo ospitò la tradizionale “Corsa dei giornalisti”, gara che fino ad allora si era svolta sul circuito cittadino delle Tre Fontane. “L’originale campionato – riportò il settimanale Raci n.24 del 1931 – indetto dall’Automobile Club di Roma e dal Sindacato Nazionale dei Giornalisti comprendeva tre categorie: vetture a compressore, senza compressore e chiuse; ognuna divisa in tre classi. Malgrado questa suddivisione che facilitava molto la partecipazione di concorrenti, soltanto una diecina di giornalisti professionisti ha preso parte al campionato che, tuttavia, è stato disputato con grande accanimento e spirito battagliero”. I vincitori furono Cantalamessa, Pezzoli e Mattioli.

Tra il pubblico politici, personalità e nobili, i dirigenti della Compagnia Nazionale Aeronautica, i figli del Duce, Bruno e Vittorio Mussolini. Ma anche tanti campioni del volante che erano stati in gara il giorno prima: Alfieri, Ernesto Maserati, Dreyfus, Fagioli, Biondetti ed altri, con starter di eccezione Tazio “Nivola” Nuvolari. Tra le curiosità, la gara di Mattioli che “ha vinto con un buon tempo la categoria delle vetture chiuse. Egli doveva correre con una Maserati, ma questa avendo avuto un guasto nella corsa del Reale Premio Roma, Mattioli ha partecipato con la vettura della quale ordinariamente si serve per il disbrigo del quotidiano lavoro”.

All’evento dedicò un ampio reportage fotografico anche l’Istituto Luce.

8 dicembre 1931 – Giornata in onore dell’aviatore Mario De Bernardi

Martedì 8 dicembre 1931 il giornale “Il Littoriale” organizzò all’Aeroporto del Littorio una giornata in onore dell’aviatore Mario De Bernardi. Tra le iniziative di contorno furono previste anche delle spettacolari sfide di velocità tra moto e aeroplani e tra auto e aeroplani, oltre ad un incontro “aerocalcistico” – con i palloncini “da schiantare con l’elica” – tra un Fiat A.S.1 in rappresentanza della squadra della Lazio (pilotato da Cozzoli e con a bordo il giocatore Augusto Mattei II) e uno per la Roma (pilotato da Mencarelli con a bordo il giocatore Mario De Micheli) con vittoria finale della Lazio per due a zero. Infine una gara di velocità di “giornalismo aereo” e una “Coppa dei Quotidiani” (vinta dal Giornale d’Italia). Tra i presenti (fu stimata una folla di trentamila persone): Italo Balbo, molte autorità, “Vittorio e Bruno Mussolini ed uno stuolo di gentili signore”.

Ma le sfide clou furono quelle tra i motori di aria e di terra, precedute il 7 dicembre da una giornata di allenamenti (seguita dal Littoriale con articoli pubblicati sia il 7 dicembre che l’8 dicembre). In quella tra aereo e moto, il campione di motociclismo romano Piero Taruffi sulla Norton 500 cmc vinse per un solo secondo contro il Fiat A.S.1 pilotato da Furio Niclot Doglio, collaudatore della Compagnia Nazionale Aeronautica. Taruffi percorse i 5 giri di pista in 7’16”3/5 (alla media di 138,754 km/h), mentre Niclot Doglio impiegò sulla stessa distanza 7’17”3/5.

A seguire, l’ancor più emozionante duello aero-automobilistico fra Tazio Nuvolari sulla rossa Alfa Romeo 8 cilindri 2300 tipo Monza e il pilota militare Vittorio Suster alla guida di un biplano Caproni 100-bis (immatricolato I-AAYG e anch’esso con livrea rossa). In questo caso vinse Suster in 6’12”3/5 (ad una media di 164,237 km/h su un percorso ridotto di 16.850 metri), mentre Nuvolari impiegò 6’14”. In conclusione della giornata lasciò senza fiato il pubblico l’esibizione di volo acrobatico di Mario De Bernardi con il suo Caproni 113.

Questa la cronaca della giornata riportata sul Littoriale con il titolo: “In una giornata magnifica di sole, una folla enorme ha assistito alle prodezze di Mario De Bernardi e s’è entusiasmata ai duelli dei bolidi terrestri ed aerei”. Dopo le esibizioni di De Bernardi – “il Caproni sembrava, al suo comando, emanciparsi dalle leggi della gravità e dell’attrito” – la sfida tra auto e moto: “Il Caproni 100-bis si è mostrato più veloce, sebbene in giusta misura, dell’Alfa Romeo 8 cilindri. Ma più veloce in rapporto alla forma della pista. L’Alfa Romeo teneva bene il confronto su quattro quinti dell’anello e talvolta, anzi, avvantaggiava in dirittura e nella Curva sopraelevata. Ma nella curva di raccordo, dove l’automobile doveva ridurre la velocità a circa cento chilometri di media, la falcata acrobatica ed impressionante del velivolo aveva la meglio. (…) Tuttavia l’equilibrio non è stato rotto che all’ultimo giro, quando Suster ha chiesto lo sforzo supremo al motore. Sino allora automobile ed aeroplano si erano alternati due volte in ogni giro. (…) L’aeroplano sorvolava l’automobile a due-quattro metri d’altezza. V’è stato anzi un momento, al secondo giro, in cui le ruote dell’apparecchio erano più basse della testa di Nuvolari. (…) Nuvolari ci ha dichiarato, dopo la gara, di essere oltremodo contento del comportamento dell’Alfa Romeo. Nel giugno scorso aveva già gareggiato sulla stessa pista con macchina di altra marca ed ha potuto notare la differenza, come velocità e stabilità”.

Quanto alla gara motociclistica, “Taruffi, con la sua Norton, ha superato il confronto con l’A.S.1 del pilota Niclot, un aviatore dell’ultimo bando, brevettato in quest’anno, che ha dato prova di grande padronanza dell’apparecchio e di sangue freddo eccezionale. Anche qui la gara si è svolta a pochi metri di distanza in altezza e si è decisa in favore del centauro negli ultimi due giri. (…) Aldo Gerardi, il goliardo pilota ed allievo di De Bernardi che l’ha condotto con sé anche in America nella recente tournée, non ha potuto, perchè indisposto, prendere il via contro Taruffi. Ma Niclot, che l’ha sostituito, ha fatto quanto meglio non si sarebbe potuto”.

Da notare una “non perfettissima organizzazione di mezzi di trasporto” per raggiungere l’Autodromo. Con porte spalancate per l’accesso al prato, alla fine, anche ad una parte della folla priva di biglietto. Anche Il Messaggero dedicava un ampio articolo alla giornata.

17 aprile 1932 – VIII Gran Premio motociclistico d’Europa (XI Gran Premio delle Nazioni)

Domenica 17 aprile 1932 in occasione del Gran Premio motociclistico d’Europa (Gran Premio delle Nazioni), si presentò all’Autodromo del Littorio anche il Re Vittorio Emanuele III.

“Per vincere il Gran Premio d’Europa sulla pista del Littorio – scrivevano i quotidiani alla vigilia – occorrerà balzare dalla rombante rincorsa a tempo di record. L’industria italiana impegnata contro la straniera in tre categorie”. Si trattava, insieme con la “Sei Giorni Internazionale”, della “più importante manifestazione dello sport e dell’industria motociclistica di tutta l’annata”. Una prova di velocità pura: “Abbiamo già illustrato le correzioni che vi sono state apportate dalla Compagnia Nazionale Aeronautica in grazia delle quali essa è divenuta uno dei tracciati più adatti alle alte velocità di tutta Europa. Deve essere tuttavia sempre tenuta presente la necessità di disporre di un mezzo velocissimo, ma anche dotato di adatti rapporti per superare con la maggiore facilità e rapidità quella curva a Nord che ha sostituito la famosa Curva della ripresa eliminandone la difficoltà forse soverchia ma che non ha escluso completamente dal giuoco della gara un tratto brevissimo nel quale è giuocoforza rallentare e poi riprendere il più rapidamente possibile”. Il taglio della Curva della ripresa aveva “di conseguenza diminuito l’anello talchè oggi misura non più quattro chilometri, ma esattamente 3.277,50 alla corda”. Dunque impossibile confrontare i tempi con quelli degli anni precedenti.

Come riportato sul Littoriale, la categoria 175 cmc fu vinta da Carlo Baschieri su Benelli (alla media di 118,293 km/h), la 250 cmc da Riccardo Brusi su Guzzi (128,619 km/h), la 350 cmc dal francese Jeanin (134,65 km/h), mentre la 500 cmc da Piero Taruffi su Norton per la Scuderia Ferrari Moto (147,783 km/h).

Al Gran Premio l’Istituto Luce dedicò due servizi, il primo sulla presenza del Re e il secondo sullo svolgimento della gara.

24 aprile 1932 – VIII Reale Premio di Roma (Gran Premio del Decennale)

Domenica 24 aprile 1932, in prossimità della data del Natale di Roma, all’Autodromo del Littorio viene disputato l’VIII Reale Premio Roma “Gran Premio del Decennale”, anche questa volta alla presenza del Re Vittorio Emanuele III.

L’avvicinamento alla gara è descritto dal Littoriale. “Mai nessuna corsa in Italia ha raccolto un così cospicuo numero d’iscritti e nomi di tanta rinomanza. La severità della corsa e la pista del Littorio, che per la sua perfezione e le alte velocità che permette di raggiungere, può considerarsi come la pista delle più alte velocità, non consente che a macchine ed a piloti di primissimo ordine di cimentarsi. Il Gran Premio del Decennale passerà alla storia come una delle più grandi competizioni automobilistiche del mondo”. Con l’occasione furono eseguiti anche degli interventi strutturali sul circuito: “Le ampie tribune che si prolungano per oltre quattrocento metri e si sopraelevano per sei gradini sul piano della pista e precisamente sul rettifilo, tra la Curva della ripresa e la tribuna della stampa, permettono una completa visibilità del rettifilo e della Curva parabolica. Si è eliminato così il difetto dell’anno scorso e la visibilità della pista, non più ostacolata dai boxes di rifornimento e dalle tabelle dei tempi risulta perfetta”.

“La tribuna Reale che s’inalza a sinistra della Casa delle Ali è stata molto rialzata in modo che il suo campo visivo non sia ostacolato dai posti di rifornimento. Anche la tribuna della stampa è stata sopraelevata e la visibilità della Curva parabolica è perfetta. Un impianto telefonico speciale collega di chilometro in chilometro la pista in modo che le segnalazioni avverranno fulminee”. Potenziati anche i mezzi di comunicazione, con autobus navette da piazza Verbano. I prezzi: 40 lire (tassa erariale non compresa) per la tribuna d’onore, 10 per la tribuna B e 5 per il prato.

L’VIII Reale Premio di Roma si inseriva in un calendario molto fitto: “È l’ultima grande gara fra le quattro che hanno servito di inaugurazione per la stagione sportiva 1932. Si è cominciato il 3 aprile a Tunisi, il 9 si è avuta la Coppa Mille Miglia, il 17 il Gran Premio di Monaco. Quattro gare in un mese a soli sette giorni di distanza una dall’altra”. Ciò portò alla decisione dell’Alfa Romeo – fresca vincitrice a Montecarlo – di non partecipare alla corsa capitolina. “Al Gran Premio del Decennale, gara di troppa importanza per poter essere presa alla leggera, l’Alfa Romeo ha dovuto rinunziare, malgrado tutta la volontà, limitandosi a fornire alla Scuderia Ferrari di Modena una macchina per Piero Taruffi” (una nuovissima Alfa Romeo otto cilindri 2.300 cmc uguale a quella con la quale Nuvolari aveva appena trionfato a Montecarlo). Una rinuncia “dolorosa” quella dell’Alfa Romeo, ma ponderata: “Per correre a Roma avrebbe dovuto affrontare una dura battaglia senza la preparazione necessaria e avrebbe compromesso, con una partecipazione improvvisata, una vittoria grandissima e molto significativa come quella di Monaco (…) Il Reale Premio Roma, comunque, non ha sofferto molto di questa forzata assenza dell’Alfa Romeo. Prima di tutto, perchè saranno in lizza le due marche che a tutt’oggi sono indiscutibilmente meglio attrezzate per confronti in velocità pura, vale a dire la Maserati e la Bugatti, poi perchè in definitiva una vettura Alfa Romeo sarà comunque in lizza: la 2300 che la Scuderia Ferrari ha ottenuto dalla stessa Casa per Piero Taruffi, velocista prestigioso che al Littorio potrà giocare un ruolo di primissimo piano”.

Ma un parziale forfait arrivò anche la Bugatti – coinvolta in alcuni incidenti al Gp di Monaco – che “avrà infatti come difensore Achille Varzi e non è cosa da poco. Varzi dichiara di partire in forma privata, perchè ama la corsa romana”. Campo libero, dunque, per le Maserati “che saranno invece ben presenti in forma ufficiale e con tutti i corridori (…) anche perchè Roma ha sempre portato fortuna alla marca di Bologna”. Quanto agli aspetti tecnici: “Fra le grandi corse di velocità europee il Reale Premio di Roma, da quando si corre sulla pista del Littorio, ha una sua fisionomia particolare: è, in altre parole, la corsa di velocità che più di altre piace alla folla perchè lo spettacolo delle vetture rincorrentisi sul grande nastro è tale da entusiasmare anche il più frigido spettatore; è nello stesso tempo, una corsa di velocità che impone alle macchine anche doti assolute, perchè non è al Littorio che un pilota può vincere curando solo di andare più forte che la sua macchina possa. Al Littorio occorre anche una macchina che stia bene in curva, che abbia pronta ripresa, che abbia freni potenti e sicuri, che abbia una frizione fortissima, un cambio di velocità facile e tale da consentire variazioni di marcia molto veloci. E al pilota deve essere possibile contare non su una, ma su tutte queste doti”.

Il regolamento prevedeva quattro classi di cilindrata con batterie separate: fino a 1.100 cmc, da 1.100 a 2.000, da 2.000 a 3.000, oltre i 3.000. Quest’ultima categoria, però, essendo presente una sola vettura (la 16 cilindri Maserati) fu abbinata a quella inferiore. Le vetture di ciascuna delle tre classi dovevano disputare una batteria di 100 km. Le prime due della classe 1.100 e le prime quattro delle altre due classi sarebbero state ammesse alla finale da disputarsi su una distanza di 240 km. Alla finale, però, sarebbero state ammesse anche le prime tre vetture classificate in un repechage su 25 giri di pista al quale avrebbero preso parte le macchine classificate dal quinto all’ottavo posto nelle due batterie fino a 2.000 cmc e fino a 3.000 cmc e oltre. Un meccanismo per tenere desta l’attenzione degli spettatori “con corse brevi e affascinanti e confronti diretti interessantissimi”, fu la notazione del Littoriale.

Qui il dettaglio dei partecipanti e dei risultati: The Golden Era of Grand Prix Racing.

La 16 cilindri Maserati, imbattibile a Roma, vince per la seconda volta il G.P Reale”. Questo il titolo del Littoriale sull’esito della gara. E il sommario spiegava: “Fagioli ha portato alla vittoria la macchina più veloce e più adatta. Taruffi con brillantissima gara, impone l’Alfa Romeo alle Bugatti. Varzi disturbato da incidenti. Furmanik, su Maserati, si lascia sfuggire la vittoria nelle 1.100 cmc”. L’articolista spiegava: “La macchina che ha vinto l’altro anno ha vinto questo anno (…) a volere essere obiettivi, non si può dire che la vittoria della 16 cilindri Maserati abbia un particolare significato tecnico assoluto. La 16 cilindri è la macchina che è, e non in tutti i circuiti una vettura come quella si può impiegare come, invece, la si impiega all’Autodromo del Littorio che impone soprattutto alle macchine doti spiccatissime di velocità. Il record sul giro stabilito da Fagioli istruisce a questo riguardo (…) ha vinto la vettura più veloce e più potente perchè il campo di gara imponeva alle macchine doti di velocità e di potenza soprattutto”.

Ma “hanno offerto ottima prova la Bugatti che Varzi ha portato alla vittoria in batteria e l’Alfa Romeo che Taruffi ha guidato al secondo posto assoluto in finale”. Dunque “anche dall’VIII Reale Premio di Roma l’industria nazionale esce con tutti gli onori”. Ma “a cose fatte viene legittimo il rincrescimento che una sola Alfa Romeo sia stata presente, perchè, dal comportamento di questa sola, lietissime deduzioni debbono farsi su quello che avrebbe potuto essere stato il ruolo di una squadra ufficiale di Alfa Romeo affidate a guidatori, ad esempio, della tempra di un Nuvolari o di un Borzacchini”. Comunque “sono caduti tutti i records; nessun incidente è intervenuto a falsare la regolarità delle gare; tutti i piloti hanno dato magnifico saggio di abilità e di audacia”.

“Malgrado la pioggia che ha imperversato nella mattinata su Roma, la folla non ha voluto disertare l’Autodromo” e al Real Premio di Roma “ha voluto degnarsi di assistere” anche il Re, con accanto l’Emiro Feysal. Sempre presenti Bruno e Vittorio Mussolini. Nelle prove avviene un guasto con cambio di macchina che darà modo a Fagioli di aggiudicarsi la vittoria finale: “Alle 11.30 prendevano la partenza le macchine appartenenti al terzo gruppo e la 16 cilindri Maserati, la sola vettura iscritta al quarto gruppo, fatta partire 20 secondi dopo le vetture del terzo gruppo per risparmio di tempo. Fra le vetture del terzo gruppo mancava la 2.800 di Fagioli guastatasi in prova; Fagioli figurava, invece, al volante della 16 cilindri al posto di Ruggeri”. In breve Fagioli raggiungeva le vetture di testa e finiva la batteria al secondo posto, subito dietro Varzi.

La “vertiginosa finale” su 60 giri di pista (240 km) fu vinta da Luigi Fagioli dopo poco più di un’ora e mezza di gara, alla media di 158,671 km/h (nuovo record). Suo – e sempre da record – anche il giro più veloce, il secondo, ad una media di 167,441 km/h. La lotta sin dalle prime battute fu tra Fagioli e Varzi, nonostante corressero su macchine molto diverse tra loro per cilindrata e potenza: Fagioli sulla Maserati da cinque litri, Varzi sulla Bugatti da 2 litri e mezzo, e per di più con problemi alle ruote. “Al via Varzi scattava in testa, ma prima dell’imbocco della Curva parabolica, Fagioli passava di forza in prima posizione”. Varzi non demorde e combatte, entusiasmando la folla e trasformando la corsa da un exploit solitario di Fagioli, in testa per tutti e 60 i giri, in duello avvincente. “Al ventesimo giro Fagioli era ancora nettamente primo, ma il secondo non era più Varzi, che aveva dovuto fermarsi al rifornimento per cambiare la ruota posteriore sinistra. Secondo era Taruffi (…) la marcia di Fagioli non aveva più ostacoli. Con regolarità sorprendente il pilota della 16 cilindri accumulava giri su giri. Tolto Varzi definitivamente dalla lotta per il primato da un incidente di gomme che lo costringeva a fermarsi ancora al box a cambiare le due ruote posteriori, il solo avversario per Fagioli era Taruffi”.

“Un attimo di emozione lo si aveva solo al 58° giro, quando, per un momento, la macchina di Fagioli parve non dover più rispondere al comando del pilota. Ma era cosa da nulla, perchè la 16 cilindri riprendeva in pieno e volava alla vittoria, poderosa e sicura”. Fagioli stesso doveva poi spiegare che il rallentamento era stato imposto dalla necessità di aprire il serbatoio di riserva del carburante. Dietro Fagioli (Maserati), accolto dagli inni nazionali e portato alla Tribuna Reale per ricevere le congratulazioni del Re, finiva Taruffi (Alfa Romeo), terzo Von Morgen (Bugatti) e quarto Varzi (Bugatti). L’VIII Reale Premio fu l’ultimo GP automobilistico corso a Roma prima dell’interruzione per la Seconda Guerra Mondiale.

All’VIII Gran Premio Reale di Roma l’Istituto Luce dedicò un reportage fotografico e il seguente documentario.

La combattiva pilota francese “madame Itier

Merita un cenno la partecipazione all’VIII Reale Premio di Roma della “coraggiosa ed ammirata signora Itier, che ha combattuto con entusiasmo e passione” nella classe tra i 1.100 e i 2.000 cmc con la sua Bugatti. Purtroppo la pilota francese – “rappresentante della grazia al Gran Premio Roma”, come si leggeva nella didascalia di una foto – risultò ottava e ultima in batteria (con una media di 125,199 km/h) e non riuscì a spuntarla neanche nel repechage.

Madame Itier con l’abbigliamento da gara.

Anne-Cecile Rose-Itier (31/7/1895 – 23/3/1980) nota come “Madame Itier” – e soprannominata “Chicane mobile” – aveva iniziato a correre nel 1926, soprattutto nei rally e nelle cronoscalate. Tra il 1931 e il 1936 divenne famosa gareggiando con la Bugatti, ottenendo qualche vittoria e buoni piazzamenti. Nella sua carriera ha partecipato cinque volte alla 24 ore di Le Mans.

19 agosto 1932 – La Squadra Corse Alfa Romeo a Palazzo Venezia

In tema di rapporti tra automobilismo e fascismo, va segnalata la data del 19 agosto 1932, quando la Squadra Corse Alfa Romeo, di ritorno dalla vittoriosa trasferta a Pescara, fu ricevuta nel cortile di Palazzo Venezia da Benito Mussolini che salì nell’abitacolo dell’Alfa Romeo Tipo B/P3 2600 numero 8 con la quale Tazio Nuvolari aveva appena conquistato l’VIII edizione della prestigiosa Coppa Acerbo, cumulando in tal modo i titoli di Campione italiano e leader del Campionato Automobilistico Internazionale (basato sui Gp d’Italia, Francia e Germania).

In un famoso scatto dell’epoca si vedono, da sinistra a destra: Decimo Compagnoni (meccanico di Nuvolari), Enzo Ferrari, Prospero Gianferrari (dirigente Alfa Romeo) e i piloti Tazio Nuvolari, Achille Varzi e Rudolf Caracciola. La Scuderia Ferrari, che in quel periodo correva con auto fornite dall’Alfa Romeo (rappresentando il reparto corse della “Casa del biscione”) aveva esordito alla Mille Miglia del 1930. L’anno seguente Ferrari riuscì a creare la propria Squadra corse ufficiale. Nel 1933 l’Alfa Romeo si ritirò dalle competizioni e cedette le vetture ad Enzo Ferrari.

15 ottobre 1933 – I Gran Premio d’Italia motociclistico e I Trofeo della Velocità

Domenica 15 ottobre 1933 vengono disputati sulla pista dell’Autodromo del Littorio il Gran Premio d’Italia motociclistico e la prima edizione del Trofeo Internazionale della Velocità. Nelle quattro categorie trionfano: Carlo Fumagalli su Miller Python (vincitore nella 500 e primo assoluto), Aldo Pigorini su Rudge (350), Riccardo Brusi su Moto Guzzi (250) e Francesco Lama su M.M. (175). Nel Trofeo primeggia l’Italia e la Svizzera è seconda. Nell’occasione si mise in luce il pilota Tomaso Omobono Tenni con la nuova Moto Guzzi Bicilindrica 500: guadagnata subito la prima posizione prese un grande distacco dai suoi avversari, arrivando ad essere in vantaggio di un terzo di giro dopo sole due tornate, incurante dei cartelli con la scritta “rallentare” che Carlo Guzzi e Giorgio Parodi continuavano a esporre ad ogni giro. Al terzo giro, nella curva “del raccordo”, subì una caduta a 180 km/h: si rialzò, ma un guasto al cavo dell’acceleratore gli impedì di ripartire.

“Il Gran Premio d’Italia motociclistico e il Trofeo Internazionale della Velocità, disputatisi contemporaneamente sul romano Autodromo del Littorio non hanno conseguito quel clamoroso successo di partecipanti che si sperava e che l’una e l’altra competizione avrebbero ben meritato – scriveva la Rivista Sport Fascista – non è qui il caso di ricercare i motivi, parecchi e di vario ordine, che hanno frustrato le legittime aspirazioni degli sportivi italiani e il lavoro degli organizzatori. È il caso piuttosto di rilevare come, in compenso, più che brillante sia stato il successo tecnico della doppia manifestazione, intendendo con successo tecnico l’eccellenza, se non l’eccezionalità, dei risultati ottenuti. Di fronte alle velocità medie realizzate in tutte le quattro classi in cui erano divise le macchine concorrenti, conviene riconoscere che, malgrado tutto, il Trofeo della Velocità è riuscito davvero un trionfo della velocità motociclistica”.

“Sull’intero percorso infatti i vincitori hanno marciato a medie che variano, dalle minime alle massime cilindrate, da ben più di 114 a 148 chilometri all’ora, mentre i giri più veloci furono compiuti a 129 chilometri all’ora nella classe 175 cmc, a quasi 143 all’ora nella 250 cmc, a più di 144 nella 350 e a quasi 157 nella 500. Sono velocità elevatissime, quali nemmeno si sognavano pochi anni fa, e ancor più considerevoli ove si tenga conto che il circuito non manca di curve, forse più insidiose che difficili, ma comunque tali da richiedere rallentamenti, e non possiede un fondo dei più perfetti. Gli è che in campo motociclistico si sono compiuti in questi ultimi tempi progressi enormi così da rendere possibili velocità che sembravano utopistiche per l’autoveicolo a due ruote la cui apparente instabilità e la cui sensibilità ad ogni irregolarità o rugosità del terreno si riteneva costituissero ostacoli insormontabili al conseguimento di medie di tale ordine”.

“Fra le velocità sinora realizzate in gara – aggiungeva la Rivista – quelle conseguite nel Gran Premio d’Italia e nel Trofeo della Velocità sono fra le più elevate, superate soltanto da quelle dell’autodromo dell’Avus a Berlino dove con una macchina da 500 cmc si è girato a oltre 165 all’ora sul giro e ad oltre 161 all’ora sull’intero percorso che fu compiuto a più di 142 chilometri di media dalle macchine di 350 cmc e a quasi 137 da quelle di 250. Ma ciò si comprende quando si consideri il tracciato dell’autodromo tedesco e quello della pista romana. Là si tratta di due lunghi rettilinei di una diecina di chilometri l’uno, collegati da due curve, qui di un circuito di non più di tre chilometri con tre o quattro curve non tutte comode e comunque seguentisi a così breve distanza da non permettere sui brevi rettilinei intercorrenti fra l’una e l’altra di riguadagnare il tempo perduto nei rallentamenti”.

“Ciò per concludere non solo che in Italia abbiamo una delle piste motoristiche più veloci d’Europa o che i nostri campioni non temono rivali in fatto di audacia e di abilità, ma che le nostre motociclette, non certo preparate soltanto per i primati, anzi in grado di compiere, lanciate a pieno regime, qualche centinaio di chilometri senza eccessivamente risentire lo sforzo (non più ad ogni modo di una normale macchina da viaggio), non temono avversari nemmeno in fatto di velocità pur su percorsi che, se non sono proprio accidentati, sono certamente sinuosi. Perchè furono proprio le motociclette italiane (M.M. E Guzzi) che a Roma conquistarono i primati più significativi”.

Al Trofeo l’Istituto Luce dedicò un reportage fotografico e un documentario.

20 maggio 1934 – II Gran Premio d’Italia motociclistico e II Trofeo della Velocità

L’ultima importante gara sul circuito del Littorio si svolse il 20 maggio 1934, con il II Gran Premio motociclistico d’Italia e la seconda edizione del Trofeo della Velocità. Ad aggiudicarsi il Trofeo fu Tomaso Omobono Tenni su Moto Guzzi (classe 500). I vincitori delle altre categorie furono: Aldo Pigorini su Rudge del team Ferrari (350), Riccardo Brusi su Moto Guzzi (250) e Amilcare Rossetti su Benelli (175). “La corsa motociclistica al Littorio per la conquista del Trofeo della Velocità è stata una brillante affermazione di uomini e di macchine italiane – recita il servizio dell’Istituto Luce – la vittoria ha arriso al corridore Tenni, che ha marciato ad una velocità di 150 chilometri all’ora”.

Al Trofeo l’Istituto Luce dedicò un reportage fotografico e un documentario.

Ottobre 1934 – Presentazione della moto “Rondine”

Il canto del cigno motoristico del circuito del Littorio fu lo sviluppo della CNA Rondine 500 – precedentemente denominata OPRA 500 GP e in seguito divenuta Gilera 500 4C – un motociclo da competizione ideato nel 1923 da Carlo Gianini e Piero Remor, due giovani ingegneri residenti nella Capitale. Il motore di questo modello ha una particolare rilevanza storica, in quanto progenitore dei moderni propulsori quadricilindrici fronte marcia.

Dopo alterne vicende, l’occasione per riprendere in mano i progetti della “Rondine” si presentò nel 1934, quando venne istituito il Gran Premio Motociclistico di Tripoli da Italo Balbo, divenuto governatore della Tripolitania e Cirenaica, dopo aver lasciato la poltrona di ministro dell’Aeronautica. All’epoca in cui era ministro, Balbo si era scontrato diverse volte con il conte Bonmartini che ricopriva la carica di amministratore delegato della Compagnia Nazionale Aeronautica e fra i due era nato un acceso antagonismo politico. Così Bonmartini accarezzava l’idea di mandare due motociclette a Tripoli per vincere il Gran Premio indetto dal “rivale” per il 1935. In soli otto mesi fu realizzata una nuova motocicletta, creata sulle basi dell’OPRA, ma sviluppata ulteriormente e senza badare a spese.

L’evoluzione fu dotata di compressore volumetrico, distribuzione con doppio albero a camme, imbiellaggio e banchi su rulli, canne dei cilindri nitrurate, cambio con preselettore a 4 marce e telaio in lamiera stampata. La potenza, per quegli anni, era impressionante: 87 cavalli a 9.000 giri. Il frutto del lavoro verrà battezzato con il nome di “Rondine”, in memoria dell’aereo che aveva sorvolato la marcia su Roma, e sarà presentato a Mussolini all’Autodromo del Littorio nell’ottobre del 1934.

Il conte Bonmartini presenta la “Rondine” a Mussolini all’Autodromo del Littorio.

Due “Rondine”, affidate a Taruffi e Rossetti, furono schierate al GP di Tripoli del 1935. Nonostante la presenza ufficiale di grandi case, come la Guzzi e la Norton, le “Rondine” conquistarono il primo e il secondo posto, sotto gli occhi esterrefatti di Italo Balbo che, pur di non essere costretto a premiare il rivale, abbandonò indispettito il palco delle autorità. In seguito, però, la lotta tra Bonmartini e Balbo volse a favore di quest’ultimo, segnando la fine politica ed economica del nobile romano. La CNA fu nazionalizzata, il progetto “Rondine” ceduto alla Caproni e l’Autodromo del Littorio – complice l’aggravarsi del contesto storico – finì la sua effimera e gloriosa epopea.

“Nonostante l’esaltazione di Roma da parte del regime, l’Autodromo del Littorio ebbe vita breve. Per quattro anni riuscì a ospitare corse automobilistiche e motociclistiche di portata internazionale, ma poi la gestione economica si rivelò fallimentare e le principali gare tornarono a Monza – ha scritto Luigi Rivola su Motosprint – alla fine del 1934 l’Autodromo del Littorio si avviò verso una triste e ingiusta decadenza, scoppiò poi la guerra e il 19 luglio 1943 le “fortezze volanti” bombardarono Roma infliggendo danni notevoli alle strutture aeroportuali e dell’Autodromo. Ma se l’Aeroporto fu rimesso in condizione operativa, dapprima dai tedeschi poi dagli Alleati, il circuito fu lasciato in abbandono e non risorse più”.

1943-1944 – I bombardamenti Alleati

Il colpo di grazia dell’Autodromo del Littorio, con la distruzione totale del circuito, arrivò in effetti con i bombardamenti Alleati su Roma, a partire sin dal primo del 19 luglio 1943 che colpì subito lo scalo aeroportuale e il vicino polo ferroviario di Roma Smistamento.

Le bombe cadono sull’Aeroporto del Littorio e su Roma Smistamento.

1947 – La demolizione nel dopoguerra

“È arrivata ai nostri orecchi una notizia sconfortante. Il circuito dell’Urbe (per intenderci l’ex circuito del Littorio) sarà definitivamente demolito – si legge in un articolo scritto il 4 novembre 1947 da Romolo Giacomini sul Corriere dello Sport – e, ieri, ci siamo portati sulla Salaria per una mesta visita al minacciato anello di cemento. Il vecchio autodromo è là, abbandonato, sbrecciato, con ancora tutte le ferite riportate dalla guerra ormai lontana. È là in attesa che mani operanti finiscano la sua pur breve e travagliata esistenza. Si affaccia, in effetti, un progetto per nuovi lavori che prevede un taglio netto a Nord-Ovest del campo, là dove, dopo i rettilinei, cominciano i raccordi con l’ampio arco della curva sopraelevata. Questo arco dovrebbe sparire per cedere il posto ad un argine che dovrebbe sorgere allo scopo di proteggere la zona dagli eventuali allagamenti. Un argine di protezione, insomma, che il Genio Civile dovrebbe, da un giorno all’altro, far sorgere per rendersi, così, complice delle disavventure del circuito romano. È giusto l’argine. È giustissima la protezione dalle acque prorompenti del Tevere. Ma non si concepisce perchè quest’opera di protezione non dovrebbe essere eretta al di là dell’anello di cemento e precisamente subito dopo la curva sopraelevata”.

Con un po’ di buona volontà si potrebbero armonizzare le esigenze dell’argine con le necessità di vita del circuito. E mentre la Commissione sportiva dell’Automobile Club d’Italia ha allo studio la costruzione di una pista a Milano nella zona dell’Idroscalo e mentre fra giorni esaminerà la costruzione di due piste sperimentali di cui una a Livorno ed una a Napoli, a Roma si concepisce solamente la completa distruzione di una pista preesistente. Non solo. L’Aeroporto dell’Urbe, alla Conferenza di Parigi per l’Aviazione Civile, tenuta nella primavera del 1946, è stato destinato a base per il turismo aereo internazionale. Solo utilizzazione turistica, dunque. Ma il turismo non si deve concepire come lo concepiscono certe agenzie che sembra siano nemiche delle soste dei loro clienti e che fanno visitare l’Italia a volo di finestrino ferroviario. (…) Il turismo è anche strettamente legato allo sport. Uniti insieme sport e turismo gareggiano e portano indubbiamente un contributo efficiente alla vita economica del paese”.

“Se la zona della Salaria ha ottenuto il riconoscimento per una base di turismo aereo, perchè invece di distruggere non si prendono provvedimenti cautelativi e non si prendono tutte quelle iniziative per valorizzare quella zona e renderla così un centro sportivo-turistico? – scriveva ancora il Corriere dello Sport nel primo dopoguerra – il vasto campo è bagnato dal Tevere il quale, per un tratto lungo oltre un chilometro in rettilineo, scorre tranquillo su un fondale di circa un metro e mezzo di profondità. Con opportune manovre di draga, con opportuni lavori di drenaggio, si potrebbe ricavare un campo ideale per gare nautiche. Sull’immenso terreno demaniale potrebbe sorgervi anche un campo per il gioco del calcio. E potrebbe sorgervi anche un campo per l’atletica”.

“Andate, dunque, osservate e decidete. Ma desistete dal proposito di assestare l’ultimo colpo di grazia al circuito romano – si appellava Giacomini – perchè se altrove si prendono lodevoli iniziative per far vivere nuovi autodromi è quanto mai inconcepibile perchè proprio a Roma si debba distruggere. Se altrove si parla di industria all’avanguardia della finanza italiana, e si dimostra il notevole progresso tecnico dell’automobilismo raggiunto attraverso le corse che assolvono un compito così vitale, provando la solidità materiale dei ritrovati teorici ed indicando all’indagine degli esperti il motorismo in continua evoluzione, si presenta quanto mai opportuno disporre anche a Roma di un moderno circuito che anch’esso confermi le condizioni di perfezionamento raggiunte dalla produzione industriale. D’altra parte le necessità del traffico sono enormi e sempre più esigenti anche nell’Italia centrale e tali da non poterle facilmente conciliare con le esigenze delle corse su strade ordinarie di comunicazione. Non va dimenticato anche che le organizzazioni motoristiche richiedono ingenti oneri finanziari e che solamente i circuiti chiusi offrono la possibilità di un sicuro incasso” garantendo inoltre “l’incolumità dei corridori e degli spettatori”.

“Il circuito romano – concludeva l’articolo – che sviluppa quattro chilometri e misura dodici metri di larghezza costante, dispone ancora di un fondo ben conservato, e tutto si ridurrebbe ad un’opera accurata di revisione ed al rifacimento del settore sopraelevato. Ormai le competizioni sono orientate verso circuiti sì fatti, chiusi al traffico; ormai gli esperti preferiscono quale teatro di prove gli anelli di cemento realizzati secondo quel concetto informatore che trova la sua ragione di vita nelle esigenze del progresso sempre più incalzante del motorismo internazionale. Per queste considerazioni ci auguriamo di vedere risorgere il circuito romano e ci auguriamo che le autorità competenti desistano dall’infierire ancora sulle rovine che la guerra ha procurato ad un impianto sportivo quanto mai indispensabile alle necessità sportive di Roma”.

1955 – Il progetto dell’Aeroautodromo dell’Urbe

Agli inizi del 1955 venne presentato su iniziativa dell’Automobile Club di Roma e dell’Aero Club d’Italia un progetto per la realizzazione dell’Aeroautodromo dell’Urbe (illustrato nel libro di Alfredo StinellisStoria di un Aeroporto, da Roma Littorio a Roma Urbe”). Il progetto, elaborato ed approvato per la parte tecnico-sportiva dalla Commissione impianti sportivi, venne fortemente sostenuto da Mario De Bernardi. Si prevedeva un’attività aerea molto limitata (solo piccoli apparecchi in conseguenza della costruzione di un secondo argine lungo tutto il perimetro del campo) con la possibilità però di poter svolgere le funzioni automobilistiche e aeronautiche anche in concomitanza. La proposta ipotizzava un maggiore sviluppo del circuito, con integrazione della pista di atterraggio, che avrebbe consentito una lunghezza dai 4 ad oltre 6 chilometri. La collocazione delle tribune era prevista sui lati Nord e Sud, sul pendio interno dell’argine; mentre una strada ricavata sul pendio esterno avrebbe dovuto congiungerle mettendo in collegamento la via Salaria con la via Flaminia (attraverso un ponte di ferro “tipo americano”, recuperato dal Genio militare e concesso in uso). Secondo gli studi, lo spazio destinato al pubblico avrebbe consentito in totale una capacità di oltre 150 mila spettatori. Il preventivo di massima del progetto era stato quantificato in 610 milioni di lire (145 per la pista automobilistica e 135 per quella aeronautica).

Il sogno dell’Aeroautodromo dell’Urbe, però, svanì rapidamente nel nulla. Lo stesso aeroporto si trovò al centro di appetiti speculativi, con alterne vicende e contrasti tra funzioni civili e militari.

Nel 2018 lo scalo sulla Salaria, che in tempi più recenti ha ritrovato un po’ di funzioni aeronautiche, ha compiuto 90 anni di vita. Accanto alla strada asfaltata che ne percorre il perimetro fanno ancora capolino le chiazze chiare della base in cemento della pista originaria – dove sfidarono il mito della velocità Nuvolari, Varzi e Taruffi – ora sprofondata nell’oblio tra ciuffi d’erba. Sui basamenti della possente Curva sopraelevata, albergano le baracche di un allevamento e pascolano le capre.