Storia

Pedalare per sopravvivere

A cura di Lorenzo Grassi
© lorenzograssi.it

Durante la seconda guerra mondiale in alcuni bunker e ricoveri antiaerei vennero installate delle “biciclette” per garantire il funzionamento dei sistemi di aerazione e ventilazione dei locali sotterranei blindati (con l’immissione di ossigeno e l’espulsione dell’anidride carbonica) anche in caso di interruzione della fornitura di corrente elettrica. In condizioni normali, infatti, tali sistemi venivano azionati da un motore; mentre in assenza di energia esterna si sfruttava la forza fisica delle persone presenti nel ricovero. Furono così approntati sistemi a “propulsione umana”: in alcuni casi manovelle da azionare a mano, in altri una sorta di “cyclette” singole o persino, nei locali di più ampia superficie, dei tandem (spesso in coppia) per suddividere lo sforzo necessario.

   

Le “biciclette” dunque, tranne rare eccezioni, non erano collegate ad una dinamo per la produzione di corrente elettrica, ma attraverso un volano azionavano in presa diretta il ventilatore-aspiratore per mantenere in movimento il flusso d’aria. Va considerato infatti che, in caso di black-out, era di maggiore e vitale importanza garantire il ricambio dell’aria e la fornitura di ossigeno rispetto all’illuminazione, che poteva essere assicurata con strumenti portatili e alimentazione a batteria. I sistemi di aerazione per ricoveri e bunker – in particolare in funzione antigas – potevano essere realizzati in due modi: con rifornimento d’aria presa dall’esterno allo stato puro o resa tale a mezzo di trattamenti fisico-chimici (“filtranti”); oppure con il ricircolo dell’aria presente all’interno del ricovero con la rigenerazione chimica (capsule) e il supporto delle bombole di ossigeno (“ermetici”).

   

Diversi sistemi di aerazione con “bicicletta” furono realizzati dalla Società Anonima Bergomi di Milano, che li definiva “Elettroventilatori a pedaliere“. Sono composti da un telaio tubolare con sellini, pedali e meccanismo di trasmissione coperto da carter e collegato al ventilatore: “Il movimento – si legge nelle note tecniche – viene trasmesso mediante moltiplicatore di velocità ad ingranaggi di precisione, racchiusi in custodia stagna facente corpo con il ventilatore. Gli alberi del moltiplicatore sono montati su cuscinetti a sfere, gli ingranaggi sono in bronzo e celeron, di modo che il funzionamento del ventilatore è silenzioso; la lubrificazione è automatica”. Oltre alla parte ciclistica, i sistemi si completavano con tubazioni, filtri e “saracinesche” per commutare le diverse funzionalità. I tubi erano dotati di flussimetri per misurare (in metri cubi/ora) il livello di ricambio dell’aria raggiunto e sapere quando questo era completo.

Indicazioni più dettagliate sulle caratteristiche che dovevano avere i sistemi di aerazione per i ricoveri antiaerei sono contenute nella Istruzione sulla protezione antiaerea del 1938. Potete consultare anche il capitolo dedicato alla protezione dagli aggressivi chimici del libro “Protezione dei fabbricati dagli attacchi aerei” curato da Giuseppe Stellingwerff (Hoepli, 1938).

Sistemi di aerazione con biciclette sono stati utilizzati anche in epoche più recenti, come quello di Fort Lunet I, bunker antiatomico realizzato dal governo olandese nel 1955 durante la “guerra fredda”. Anche durante la prima guerra mondiale alcune biciclette erano state adattate con speciali dinamo per produrre energia elettrica, come questo tandem della Prinetti & Stucchi.

   

In Italia sono stati documentati una ventina di sistemi di aerazione con “biciclette” ancora esistenti tra Roma, Milano, Torino, Genova, Verona, Rovigo, Bolzano, Gardone Riviera (BS) e Dalmine (BG). È interessante notare che diversi di questi impianti risultano installati in ricoveri predisposti nelle sedi delle Prefetture e ciò può far ipotizzare l’esistenza di una specifica direttiva tecnica per l’approntamento dei locali antiaerei destinati a tali Istituzioni.

PER SAPERNE DI PIÙ
Raccolta di documentazione in ordine cronologico